«Le camere di videosorveglianza ci permettono di sbirciare qualcosa che normalmente non siamo autorizzati a guardare». Così dice Juanjo Giménez Peña, regista spagnolo del corto Timecode (2016), vincitore della Palma d’oro a Cannes 69, disponibile gratuitamente su arte tv. Sono proprio le CCTV il dispositivo su cui si sviluppa questo film di 15 minuti, in cui il punto d’osservazione privilegiato non è uno strumento di controllo e potere, ma diventa un mezzo di comunicazione, un modo per sentirsi più vicini, per riconoscersi più simili di quanto non voglia l’apparenza.
Le telecamere di Timecode, infatti, non servono a svelare un mistero (catturare, per esempio, le presenze demoniache di Paranormal Activity e simili) né ad addomesticare le immagini, come nel recente, bellissimo, Nope, in cui i due protagonisti installano un sistema a circuito chiuso per andare a caccia del grande predatore alieno e “intrappolarlo” in uno scatto.
Il corto di Giménez Peña narra di Luna e Diego, guardie di sicurezza in un parcheggio custodito, colleghi il cui rapporto si riduce al mero saluto durante il cambio di turno dal dì alla notte. Ma un giorno Laura scandaglia i filmati registrati e vede Diego fare qualcosa di insolito: ballare. Il ragazzo, con passi di danza contemporanea, balla in mezzo alle macchine, tra le corsie di quell’anonimo parcheggio sotterraneo, per esprimersi; si lascia andare, pensando di non essere visto da nessuno. Il suo segreto è custodito fino a quando un altro occhio non lo guarda.
Da quel momento anche Laura, un’altra “ballerina in incognito”, inizia a danzare davanti alle camere, in una sorta di risposta al collega. Comincia così tra i due, che si lasciano post-it sui quali indicano l’ora precisa delle loro esibizioni, una conversazione fatta di soli gesti. Attraverso le CCTV, Laura e Diego comunicano, e soprattutto si vedono per davvero, perché le immagini rivelano la verità profonda delle cose (come l’home movie girato al campeggio da Sammy in The Fabelmans di Spielberg).
Il loro è un rapporto a distanza, una corrispondenza in differita (come nel film di Tornatore). In delay, idea ripresa da Giménez Peña nel suo lungo del 2021 Out of Sync, presentato alle Giornate degli Autori a Venezia 78, dove una sound designer inizia a percepire suono e immagini fuori sincrono («il ritardo fa parte delle nostre vite», afferma il regista).
Tornando a Timecode, i due protagonisti (gli attori-ballerini Nicolas Ricchini e Lali Ayguadé, quest’ultima anche responsabile della coreografia) si guardano, si riconoscono, si vedono davvero. Si cercano e si scoprono attraverso i monitor, e viene in mente - con un volo forse un po’ ardito - il bellissimo An Unusual Summer di Kamal Aljafari, che monta le riprese fatte da una camera di sorveglianza installata dal padre davanti a casa, a Ramla, Israele, dove «tutti hanno l’opportunità di esistere». Un modo per osservare la realtà, toccarla, farla propria.
Per scorgere piccole epifanie tra quelle registrazioni quasi banali, trovare schegge di verità in mezzo ai ricordi su nastro, come fa la Sophie adulta in Aftersun di Charlotte Wells (su MUBI) con il video girato insieme al padre Calum, figura irraggiungibile che vive solo nello spazio delle immagini digitali. E come Luna e Diego, che poi, alla fine, s’incontreranno dal vivo. Ma noi non lo vedremo mai quell’incontro, che rimane per sempre fuori campo.
Il film
Timecode
Cortometraggio - Spagna 2016 - durata 15’
Titolo originale: Timecode
Regia: Juanjo Giménez Peña
Con Vicente Gil, Lali Ayguadé, Pep Domenech, Nicolas Ricchini
in streaming: su Disney Plus
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