Bastano già i titoli di testa con quell’improbabile balletto di tutti i protagonisti, in una coreografia dai movimenti impacciati e legnosi, al ritmo di Do You Wanna Taste It? (“vuoi assaggiarlo?”) dei Wig Wam, a far venire voglia di gustarselo tutto questo spinoff seriale HBO Max di The Suicide Squad - Missione suicida di James Gunn, creato, scritto e diretto (cinque episodi su otto) da lui medesimo, nel frattempo divenuto il nuovo deus ex machina DC-Warner in un DC Extended Universe si spera più coeso e coerente.
A confermare, come si scriveva già su queste pagine, proprio Gunn tra i pochi autori (ebbene sì!) con una propria cifra distintiva dentro i cinecomix pastorizzati e slavati Marvel e DC. In egual misura rispettoso e iconoclasta, riesce infatti a sabotare l’ortodossia del genere, facendone esplodere contraddizioni e paradossi, fedele all’idea che i supereroi siano pazzi scatenati, forse la cosa più stupida mai concepita, come ha dichiarato più volte. Così è pure Peacemaker/ Christopher Smith (John Cena, perfetto, fragile e ottuso insieme), super-sicario governativo tutt’altro che limpido e sempre sull’orlo del ridicolo, sopravvissuto per un pelo all’ultima missione della Suicide Squad ma con più di un rimorso, e pronto a imbarcarsi in un’altra non meno folle, che lo porterà da un lato in rotta di collisione con il padre uber-suprematista bianco e villain (Robert Patrick, già T-1000 per Cameron e John Dogget in X-Files; nessuna faccia è mai lì per caso con Gunn) e dall’altro a fronteggiare un’invasione aliena strisciante modello L’invasione degli ultracorpi.
Non è, insomma, tanto diverso dal vigilante invasato religioso di Super - Attento crimine!!! (quando Gunn, ex uomo Troma, pasturava un certo cinema indie), ugualmente confuso e contraddittorio (persegue la pace, ma con la violenza), e in più sessista, omofobo, razzista e fascista (non troppo) latente. Da quelle parti si direbbe “un perfetto redneck”, facile preda della propaganda trumpiana (e infatti...) e del cospirazionismo da deep state più becero. Gunn, però, ama i suoi super schizzati, anche i più improbabili e impresentabili, e ce la mette tutta per farlo diventare un uomo migliore (a suo modo), affratellandolo a una banda di agenti governativi specializzati in operazioni clandestine non meno scalcagnati e trovandogli un partner perfetto in Vigilante, nerd sociopatico con un’insana passione per lui, in direzione di una bromance spesso inquietante (come nella sequenza in cui i due si allenano, usando ogni tipo di arma e facendo detonare qualunque cosa a portata di tiro con infantile incoscienza).
Alla fine, gli regala pure un sonoro vaffanculo da gridare alla Justice League tronfia e solenne sopraggiunta in ritardo sulla scena dello scontro finale, che è anche una liberazione dai complessi d’inferiorità verso i super di serie A. Ma Peacemaker fortunatamente non ha alcun complesso di questo tipo, anzi, tra digressioni impreviste, dialoghi spesso impagabili e scontri e botti sopra le righe, colpisce forte e sotto la cintola più di una volta, introduce caratteri e personaggi(ni) azzeccatissimi (Judomaster! Eagly!), carambola leggera tra pacchianeria e grottesco. Un salutare (e spassoso) antidoto alla grandeur bovina dei cinecomix ufficiali.
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