Ci sono tre geografie in Burning - L’amore brucia, e rappresentano i tre protagonisti. Mentre il padre è sotto processo per violenza contro un pubblico ufficiale, il giovane Jongsu, aspirante scrittore appassionato di Faulkner, torna nella casa-fattoria di famiglia a Paju, una zona rurale a nord-ovest di Seul, ricca di storia e di tradizione, di nebbia e di agricoltori, e dove si avverte la propaganda diffusa via altoparlanti della vicinissima Corea del Nord.
Il ricco Ben, al contrario, vive nel centro della capitale, in un appartamento del quartiere di Banpo, con un’edilizia che risale alla fine degli anni 70, condomini di lusso con guardiani e Porsche, e musica soft in cucina mentre si sta ai fornelli. Anche Haemi risiede nel cuore di Seul: nata come Jongsu a Paju, la donna alloggia in una minuscola stanza fredda e poco illuminata a Huam-dong, quartiere demograficamente ricco fatto di stradine ripide nei pressi del picco Namsan, appena sotto le mura della città vecchia.
Tre personaggi, tre identità, tre topografie. Il loro incontro è naturalmente uno scontro, e ne nasce una quarta, di identità. Una quarta geografia, che appartiene impercettibile all’animo. Una topografia che non si “vede”, almeno non quanto la terra di Paju e l’asfalto di Banpo e Huam-dong. Nasce una configurazione ambigua, un territorio elusivo che ha i contorni di un’attrazione fatale. Non ha un nome, e anche se vogliamo darglielo - innamoramento, passione, sogno, menzogna, violenza, Male - finiamo per essere generici e approssimativi. E imprecisi, come imprecisa è lei, questa nuova forma caratteriale, indole inaspettata, un’inedita immagine di sé e del mondo.
Non ha neppure un profilo definito o riconoscibile, perché Burning - L’amore brucia (ispirato dal racconto Granai incendiati di Haruki Murakami, nella raccolta L’elefante scomparso e altri racconti, Einaudi) è un film che non ha volto. Il risultato di un conformismo secolare, di una familiarità quale gene irrimediabile, del classismo atavico e della prepotenza come esercizio di colonizzazione e appropriazione, della blandizia dei denari e dei sessi, della gentrificazione della personalità come predisposizione innata e originaria, del passato e del presente che non trovano una proporzione: una faccia senza segni particolari, un’ombra indeterminata che brucia sotto la cenere, io e noi e loro e gli altri. Nessuna espressione: e ciò fa paura. Questo è vero cinema del reale.
Burning - L’amore brucia è un capolavoro, contiene una delle scene più memorabili che io abbia visto di recente (il tramonto a Paju, con la luce che lievemente cede e il buio che a poco a poco cela), e Lee Chang-dong, che sembra qui rielaborare in chiave psicologico-intimista la spietatezza esibita di certo Park Chan-wook, che parla della società come fa da sempre Bong Joon-ho ma con un controllo stilistico spaventoso, e il cui Poetry è tra i film fondamentali dell’ultimo decennio, è uno dei più grandi registi contemporanei.
Il film
Burning - L'amore brucia
Drammatico - Corea del Sud 2018 - durata 148’
Titolo originale: Beoning
Regia: Chang-dong Lee
Con Ah-in Yoo, Jong-seo Jeon, Steven Yeun
Al cinema: Uscita in Italia il 19/09/2019
in streaming: su Apple TV Amazon Video Amazon Prime Video Timvision
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