Altro che paradiso, inferno, purgatorio, gironi, bolgie, nirvana, metempsicosi, settantasette vergini, ottantotto folli, novantanove problemi, CENTO CENTO CENTO. Da una certa generazione in poi – non la nomineremo nemmeno, dacché i boomer sono ragazzi sensibili e si offendono facilmente. Anzi, peggio. Si indignano. Come dice? Alla fine sono stati nominati? Ops – si è scoperto che le speculazioni sull’aldilà, quello dopo la morte, sono certamente interessanti ma ben poco pratiche se prima non riusciamo a capire se mai esisterà una vita dopo che smetteremo di lavorare. C’è vita al di là del lavoro? Esiste un numero illimitato di pensioni? O sono andate tutte esaurite per i ferrovieri che a 41 anni si erano già stufati di faticare? Ovviamente parlo solo a titolo personale, ma questa cosa di temere più la pensione che la morte la trovo particolarmente buffa. E poi penso a David Letterman, che viene dalla generazione ancora prima e che da certe cose non si fa tangere nemmanco di striscio.
In pensione David Letterman ci è già andato, e soprattutto ci è andato quando voleva lui e ai suoi termini, un lusso che persino sulle vette più rarefatte dell’industria dell’intrattenimento è appannaggio di pochi eletti. Tanti altri preferiscono continuare per inerzia fino a ottenere un meritato posto al centro del carrello dei bolliti, altri ancora smettono semplicemente perché nessuno se li calcola più e accettano di instradarsi sul viale del tramonto senza fare troppe bizze. Letterman invece era ancora bello sul pezzo, faceva ancora registrare numeri spendibili nelle trattative con i burocrati che scelgono i palinsesti, ma si era anche giustamente stufato di preparare e performare cinque show a settimana.
Era il 2014 e il nostro aveva la bellezza di 68 anni quando, fornendo un anno di preavviso, decide di appendere il gobbo al chiodo e concludere la più lunga e fruttuosa carriera di conduttore di Late Show – il format di talk show/varietà comico da seconda serata perfezionato da Johnny Carson a partire dagli anni ‘60 – nella storia della televisione statunitense: 33 anni di apparizioni ininterrotte – a non tenere conto di un’operazione a cuore aperto a inizio anni 2000 e la pausa per lo sciopero degli sceneggiatori fra il 2007 e il 2008 – per un totale di seimila e ottanta trasmissioni. Un’enormità. Letterman è sopravvissuto a faide interne – quella con Jay Leno è persino diventata un film per la tv da tanto ha fatto parlare di sé –, a scandali personali i cui panni sporchi sono stati lavati in pubblico (anche perché di mezzo c’era un ricatto bello e buono) e specialmente all’evoluzione del linguaggio comico e televisivo. Soprattutto, il presentatore, comico stand-up e produttore originario dell’Indiana ha attraversato più di trent’anni di questa giungla senza praticamente mai modificare il suo stile, il suo ritmo e quelle idiosincrasie che lo hanno reso popolare sin dagli esordi: le sue pause bizzarre, i suoi versi insensati, le risate fanciullesche alle sue stesse battute e l’innata capacità di riuscire a estrarre comicità da qualsiasi interazione con qualsiasi ospite, persino da Joaquin Phoenix all’apice del suo esperimento meta-artistico per la promozione di Io sono qui!.
Qui è dove accoglie lo sfogo di Conan O’Brien, anch’egli vittima dell’ego di Jay Leno:
Dunque Letterman in pensione c’era già andato e per sua stessa scelta, seppur fosse (oggettivamente) ancora in discreta forma dal punto di vista della capacità di intrattenimento. Però a un certo punto interviene a gamba tesa e piede a martello Netflix, che gli propone di tornare a fare la cosa che gli riesce meglio – intervistare persone magnificandone, senza piaggeria, talenti e risultati – ma con più soldi a disposizione e un impegno decisamente più blando. Nasce Non c’è bisogno di presentazioni con David Letterman, contenitore flessibile di chiacchierate varie ed eventuali in compagnia di alcune delle persone più famose sulla faccia della terra. Il format viene inaugurato nel 2018 da Barack Obama e nelle quattro stagioni sinora concluse ha prodotto la pochezza di 24 episodi, una rarità nel bulimico panorama della nuova televisione. Per dire di quanto si punti sulla qualità e sull’unicità, la prima puntata della quinta stagione (disponibile da pochi giorni) vede protagonista Volodymyr Zelens’kyj. Letterman, in pratica, ci sta dicendo che piuttosto di fare la scimmietta ballerina per cinque sere a settimana preferisce far finta di non avere 75 anni e volare in zona di guerra per intervistare un capo di stato all’interno di una stazione della metropolitana. E non ha nemmeno tutti i torti, se chiedete a me.
C’è anche un contenuto bonus in questo articolo dedicato a un grande vecchio comico ancora in grado di essere attuale e brillante come la prima volta che è apparso in tv. E si tratta di un extra piuttosto filologico. Le interviste, infatti, non erano l’unico motivo di eccellenza del Letterman da Late Show. Dave, come il suo mentore Carson, è sempre stato un volonteroso pigmalione per comici talentuosi, ma privi di visibilità. Ha sguinzagliato più volte il genio di Andy Kaufman mentre tutto il resto del mondo dello spettacolo lo guardava strano pensandolo matto e forse anche un po’ pericoloso (in effetti...). Ha ospitato in molteplici occasioni quel fenomeno di Norm Macdonald, anche dopo che quest’ultimo era stato licenziato da SNL per abuso di battute sul processo a O. J. Simpson ed era diventato una sorta di persona non grata nell’ambiente. E anche per Netflix, Letterman si presta allo stesso servizio: That’s My Time è un altro interessante contenitore, in cui il decano torna a fare stand-up – la stessa dei brevi monologhi con cui apriva ogni puntata del Late Show – per poi lasciare il palcoscenico a comici già rodati, ma bisognosi di quello scatto ulteriore di popolarità che l’associazione con il nome di Letterman può garantire. Sei puntate per altrettanti comici – piuttosto fenomenali, peraltro: Phil Wang, Brian Simpson, Robin Tran, Rosebud Baker, Naomi Ekperigin e Sam Morril – che si presentano al grande pubblico con fulminanti set di dieci minuti e poi, soprattutto, vengono brevemente intervistati da Letterman, che scava nel loro processo comico e li aiuta a tirare fuori ulteriori perle. Un piccolo gioiellino di programma, che regala anche piccoli e inaspettati spaccati sul funzionamento di alcuni brillanti cervelli comici.
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