Alle volte è proprio questione di manipolazione di un linguaggio e della capacità di saperlo plasmare a seconda della propria voce e delle proprie caratteristiche. Esempio sciocco, ma classico e azzeccato: c’è stato un periodo in cui Eddie Murphy e Martufello facevano lo stesso mestiere – sketch comedy e monologhi comici – e parlavano lo stesso linguaggio, eppure non li metteresti mai nella stessa frase insieme. È un concetto che rimane valido anche più in grande, se pensiamo che io e Hugh Jackman facciamo parte dello stesso genere assegnato alla nascita all’interno della stessa specie, eppure nessuno si azzarderebbe a dire una cosa del genere ad alta voce se ci vedesse l’uno a fianco all’altro.

La questione, dunque e di nuovo, è che ci sono comici di stand-up che hanno imparato il linguaggio del genere, lo hanno assimilato, lo hanno fatto proprio e lo hanno adattato per venire incontro alle proprie capacità mentali, solo per parafrasare un Luttazzi d’antan, che è sempre cosa buona e giusta. Daniele Tinti, che ha 32 anni, è cresciuto a L’Aquila e lavora con base a Roma come colonna del The Comedy Club, è uno dei rari comici italiani dai cui speciali traspaiono queste riflessioni sulla struttura di uno spettacolo; l’idea che lo stand-up non debba essere solo un’infilata di battute più o meno collegate fra loro da un tema di fondo, ma che possa essere anche una forma di scrittura chiusa la cui parabola narrativa può essere contornata da altre funzioni trigonometriche. Insomma, quello che hanno sempre fatto i più grandi comici americani, da George Carlin a Bill Hicks.

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Daniele Tinti

Fatalità, Tinti è un altro tipo raro di comico italiano che fa una cosa eccellente presa in prestito dalla scena americana: egli fa i podcast. Il suo Tintoria, che da qualche tempo co-conduce insieme a Stefano Rapone facendo a gara con Cachemire (di Edoardo Ferrario e Luca Ravenna) alla coppia che se la spassa di più, sta per raggiungere le 150 puntate ed è ormai diventato un appuntamento fisso anche dal vivo (al The Comedy Club a Roma).

L’ultimo spettacolo del comico italiano – Dilemma, vedi sotto – è un monologo a tesi, con un filo rosso che unisce introduzione e finale, chiudendo il cerchio di una narrazione fatta di pochi grandi contenitori tematici, dentro ai quali si agita un fronte di frattali, tangenti e parentesi che vanno a comporre la risacca comica. Pochi spunti molto generici si trasformano in flussi di logorrea i quali, più che colpire con la singola punchline, arrivano a ondate. Un fronte di battute che si abbatte sulla battigia.

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Daniele Tinti

Alla premessa di Dilemma fa seguito il primo contenitore, azzeccato aggiornamento generazionale sugli stereotipi dell’eterna dualità uomini contro donne. È un lungo bit scritto, provato e controprovato, ma che lascia anche spazio anche all’interazione con il pubblico e all’improvvisazione. In un mondo in cui gli stereotipi patriarcali stanno venendo eradicati dalla norma sociale a uno a uno, figurati se questi possono essere sfruttati da un comico millennial che sta facendo uno spettacolo incentrato su un uomo etero che riflette sulla propria sessualità, la mette in dubbio, scopre una paura latente dell’omosessualità e tenta di affrontarla onestamente. Le grandi domande sui differenti approcci alla vita fra donna e uomo rimarranno sempre lì, ma verranno affrontate in maniera meno tranchant e più sfumata: «Sulla comunicazione, le donne sono le legioni romane che arrivano in Germania con le catapulte trasportate sulle strade che hanno costruito loro e tu sei il visigoto scalzo che sta là che ancora pensa “Ammazza che invenzione l’aratro”».

L’altra grande divagazione di Tinti, invece, parte dalla sua esperienza con l’erba – ha smesso per eccesso di paranoie – e va a toccare stereotipi razziali, di quartiere, sull’esperienza delle donne sole per strada la notte. Il flusso della comicità di Tinti è talmente fitto da non pungere, ma da pressare. È tutto l’impianto, nel suo insieme, che fa ridere; sono le riprese alle battute precedenti ad andare a segno con più precisione, quasi a ricompensare il gusto per la costruzione che Tinti mette in mostra.

Da questa rincorsa di idee viene fuori che la causa di tante omofobie sono gli altri uomini, quelli che sono stati da esempio. Quelli che hanno passato la tua adolescenza a spronarti a diventare un indiscriminato punitore di vagine per poter dimostrare a tutti, soprattutto a te stesso, la tua virilità e il tuo senso del dovere nei confronti della mascolinità. Questo per dire che, ecco, siamo sulla strada giusta. Portate un altro po’ di pazienza.

Autore

Nicola Cupperi

Scrive per FilmTv perché gliel'ha consigliato il dottore. Nel tempo libero fa la scenografia mobile. Il suo spirito guida è un orso grigio con le fattezze di Takeshi Kitano.