Per parlare del nuovo, doppio e oceanico (più di tre ore in totale) nuovo spettacolo di Enrico Brignano ospitato su PrimeVideo, io partirebbe (come direbbe lui) dal titolo: Ma... diamoci del tu (Parte Prima e Parte Dopo). Lo stesso Brignano – e, a giudicare dallo stile, sembrerebbe davvero un testo vergato di suo pugno – si è premurato di compilare una distinta presentazione del suo show comico a partire dal titolo.
Show che, peraltro, risponde all’annosa domanda: qual è il comico italiano che oggi riesce a riempire per più sere di fila la cavea dell’auditorium Parco della musica da tremilacinquecento posti? Enrico Brignano, giustamente. Sennò non ci sarebbe questo articolo. Il comico nato e cresciuto alla periferia di Roma e svezzato artisticamente da Gigi Proietti scrive: «Darsi del tu oggi è ormai la prassi, mentre il “lei” sembra qualcosa di arcaico e formale. Per dire, quando ti chiamano dal call center per discutere che so, la tariffa telefonica, oppure per proporti di investire l’eredità di pora nonna in cripto valute , usano il lei, probabilmente per renderti più difficile il mandarli a quel paese. Il “lei“ è burocratico, lo si usa con le forze dell’ordine o al comune, ma del resto il “tu” che lo sta sostituendo è vuoto, non porta con sé quella confidenza vera, quella familiarità che intendo io. Ultimamente poi, dopo la pandemia che ha acuito le distanze, il tu è diventato ancora più un fatto di forma, ma non di sostanza. E siccome io sono un uomo di sostanza – si dovrebbe capire già solo guardandomi – vorrei recuperare quel TU che ci siamo persi per strada. E ci aggiungo pure quel MA che resetta tutto, che azzera le distanze, che siano sociali, economiche o d’età. L’età... ultimamente ho notato che per colpa della mia età sempre più persone tendono a darmi del lei, un lei che è doloroso come una fitta della sciatica, che è più fastidioso e irritante di quando mi scopro a tirarmi su dal divano esclamando: “hoplà”. Mi sa che all’espressione “giovane comico romano” devo cominciare a togliere il “giovane”. Non che rinneghi la mia età, quella ci sta e bisogna tenersela; anzi, mi rende più autorevole. Sembra quasi che le cose che dico siano attendibili! Però, quando parlo alla gente, io voglio darle del tu, mi voglio prendere una certa confidenza per raccontare in modo intimo le insidie del mondo, dalla tecnologia, utile ma infìda, alle varie crisi economiche, ecologiche e sanitarie. Avrei pure un paio di notazioni da fare sull’amore e sul sesso, sui rapporti personali e sociali, su certe stranezze di questi tempi... ebbene sì, c’ho tanto da parla’. E qualche volta anche da lamentarmi. “Ma lei Brignano non sa che lamentarsi è tipico delle persone anziane?”; “Certo che lo so. Ma lei, coso… mi dia del tu!».
È una bella presentazione. Ci sono molte parole che vengono messe una dietro l’altra in maniera efficace e sensata. Solo che sono talmente generiche che, una volta visti gli spettacoli, torni a rileggere e dici: ok. Forse tutte queste cose c’erano negli show. Ma io non le ho viste.
Ma... diamoci del tu non è strettamente uno spettacolo di stand-up. È un varietà barra monologo comico barra cabaret cantato e ballato barra monologo teatrale barra vaudeville con la band con le tre coriste e la tastierina. Va in scena coadiuvato dalle sporadiche apparizioni sul palco della moglie Flora Vento – cantante, attrice, ex tronista di Uomini e Donne - creando una dinamica che non solo permette di dare varianza a uno spettacolo, come detto, oceanico; ma oltretutto aiuta a sfruculiare meglio i classici della banalità “uomini contro donne”. È il grande spettacolo che rilassa e spensiera (aiutateci con questo bel neologismo) l’italianə mediə; uno show (apparentemente) di lusso che essə, l’italianə mediə probabilmente non a suo agio con tutte questa schwa, anela: un performer carismatico che intrattiene senza offendere, senza mettersi di traverso a nessuno, accarezzando il cerchio, la botte e anche la moglie ubriaca che porta a pascolare i buoi dei paesi tuoi. Magari insegnando qualcosa nel frattempo, se capita. Sono, come ben facevano notare in Boris, le canzoncine, i nani e le ballerine che si agitano per distrarci mentre fuori il mondo brucia, le bombe cadono, la gente impazzisce. Ed è giusto così – affermazione fatta a posteriori, dopo aver apprezzato il fatto che Brignano rimane, fra i comici nazionalpopolari italiani, di gran lunga il più blando dei bigotti in circolazione, risparmiandosi quantomeno di fare apertamente la morale al suo pubblico.
Che Brignano sia blando nella sua rigidità generazionale è vero, ma comunque ciò non gli impedisce di avere l’età che ha, l’educazione che ha e l’indole che ha. Fa l’imitazione di un cinese di fantasia che intonava L’italiano di Toto Cutugno dal balcone durante la quarantena, tenendoci molto a ricordare a questo Ming che no, lui non è mica italiano come noi e come sta cantando, portasse pazienza. Ha un lungo sketch in cui scherza su Vite al limite – programma di Real Time che ha ottenuto un certo culto – mandando in visibilio gli spettatori. Brignano ha perfettamente il polso del suo pubblico. Dà loro esattamente quello che vogliono, comprese alcune facili pantomime con coreografie e musica per citare le serie tv di maggior successo: Gomorra, Narcos, La casa di carta. Detto questo, però, c’è da dire che fa impressione, nel 2022, sentire tremilacinquecento persone che ridono all’unisono e di gusto mentre un comico si prende gioco di un’ipotetica signora di 540 chili («Non ho mai incontrato un dietologo che mi piacesse» «Eh, però te li sei magnati tutti comunque»). Fa quasi specie. Lungi da me giudicare le intenzioni di Brignano, non sono nella sua testa. Ma suona tutto molto strano e, in quanto membro di un pubblico che negli ultimi anni è stato abituato a uno standard diverso e più moderno, anche disagevole.
Viene riservato il giusto spazio, chiaramente, anche per le battute sulla falsariga del “Eh ma non si può più dire niente”. Eppure, nonostante la posizione filosofica di Brignano sulla comicità sia la stessa del suo pubblico – che va dai 20 agli 80 anni (il boomerismo non è uno stato anagrafico, è uno stato mentale) e si aggrappa alla pratica del ridere tutti insieme di una categoria fragile che non può difendersi – il comico romano si sforza, una tantum, quantomeno di “osare”, portando sul palco una collezione di sex toys. Il pubblico in sala inizialmente si gela per l’imbarazzo. Poi Brignano lo recupera con grande presenza scenica. Perché alla fin della fiera: anche coloro i quali non hanno mai sentito parlare o avuto che fare con un sex toy e sono imbarazzati da un tabù di per sé innocuo, avranno diritto pure loro di farsi una risata? E per convincerli di essere al sicuro nonostante l’argomento non sia da catechismo, c’è bisogno di un comico come Brignano, il cui carisma e presenza scenica permettono al pubblico di identificarsi con lui pure quando si lamenta del pediatra che gli chiede 150 euro a prestazione. Brignano. Che si lamenta di dover pagare 150 euro il pediatra. È credibile? No. Parla a nome del suo pubblico? Sì.
La Parte Dopo dello spettacolo, invece, passa dal cabaret puro (barzellette + scenette + canzoni + balletti) a una forma comica più vicina alla stand-up aneddotica, comunque inframezzata da tre numeri musicali e dalle incursioni di Flora Vento. Il racconto degli esordi di Brignano è tenero e buffo – il primo provino in RAI quando è costretto a indossare i pantaloni con cui Sergio Japino ballava il Tuca Tuca – e si inserisce nel solco di in una stand-up fatta quasi interamente di stile: prosopopea, accenti perfetti, il modo in cui si svolge il racconto, la delivery delle punchline e i tempi comici. È lo stesso Brignano a definire, a modo suo, lo spettacolo: «One-man show mash-up, un misto fra one-man show, stand-up e all you can eat». La carne al fuoco, insomma, è tantissima. A volte confusa e organizzata semplicemente per accumulo; alle altre (molto raramente) con un tentativo di strutturazione un po’ più moderna. Sembra un leggero passo in avanti per la comicità popolare italiana. Quantomeno qualcuno ha pronunciato la parola “stand-up” davanti a 7mila persone.
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