Forse il problema della Festa del Cinema di Roma è Roma stessa. Certo, c’è la fantomatica regola aurea che le grandi capitali non sono mai riuscite a costruire manifestazioni cinematografiche di prima grandezza (ma New York e Londra hanno il Lincoln Center e il BFI, per non citare l’eccezione Berlino...), però, ecco, solo a Roma si ha questa soffocante comunione tra manie di grandezza e intrinseco provincialismo, splendente passato e chiaroscuro presente, tanto che dalla Hollywood sul Tevere si finisce a parlare solo di quanti barconi stanno dentro al Tevere e di quante buche sul Lungotevere. È dal 2005 che è così, e lo è stato anche quest’anno, con le polemiche tra il direttore uscente Antonio Monda e la Bettini Family, i doppi ruoli di Farinelli e Malanga, il numero spropositato di opere italiane, la poca rilevanza internazionale e, naturalmente, il mai domo Auditorium con la sua equidistante distanza da qualunque altro punto della città (nonostante gli onnipresenti cartelli)...
I cinque mesi di lavoro del nuovo direttorio composto da Gian Luca Farinelli e Paola Malanga potevano essere consumati in questi intrecci da avanspettacolo e pasticciacci da terrazzo, eppure il barbaros calato dalla Cineteca di Bologna (il primo) e l’insider ex-in-aspettativa di Rai Cinema (la seconda) sono riusciti a tenere assieme velocità di esecuzione e attenzione per i dettagli. Su tutti i fronti: si è finalmente data una collocazione precisa nel complesso scacchiere dei festival istituendo il concorso Progressive Cinema, riconosciuto dalla FIAPF (Féderation Internationale des Associations de Producteurs de Films); l’intera manifestazione è stata razionalizzata con una maggiore organicità tra le varie sezioni, facendo emergere l’idea di cinema e di scelte fatte della direttrice e dal suo gruppo di selezionatori; l’impronta spettacolare inseguita nel settennato di Monda ha avuto una prosecuzione ma sotto forme e direzioni diverse, calcando meno la mano sulla pura presenza scenica e cercando invece una cornice di senso (“Absolute Beginners” e “Paso Doble”, ma anche e soprattutto i numerosi incontri sul futuro del cinema italiano).
E i numeri sembrano premiare l’esordio del nuovo dinamico duo Farinelli-Malanga, che su 28 schermi a disposizione ha visto un +34% di accrediti, un +24% di biglietti venduti (oltre 46.000) e un +35% di presenze (oltre 56.000), numeri superiori anche all’edizione pre-pandemica del 2019. Non tutto sembra ancora tornare – e come potrebbe? –, vista la preoccupante assenza di star internazionali mai arrivate sopra un red carpet abbastanza vuoto, una copertura mediatica non centrale e la sempre presente difficoltà di aprire i gusci progettati da Renzo Piano per arrivare davvero a tutta la città.
Così si deve tornare all’inizio, a New York e a Londra, i veri modelli a cui avvicinarsi per una gestione diffusa delle strutture, prolungata nel tempo e diversificata nelle modalità. L’orizzonte di mandato e di lavoro di Farinelli e Malanga è questo, con la prospettiva di un budget ampliato che permetta una calendarizzazione di eventi lungo tutto l’anno, l’ampliamento delle location alla Casa del Cinema (da gennaio 2023 gestita dalla Fondazione Cinema per Roma) e una moltiplicazione della tipologia di interventi (l’annunciato lavoro sugli archivi con Cinecittà, il Floating Theatre di Alice nella Città durante l’estate ecc.). Tutte cose già viste in nuce durante questa edizione, grazie ad uno sguardo libero e consapevole che ha messo insieme ricerca e grande pubblico, prime visioni e opere in giro per altri festival, videoclip e serie tv, prendendosi carico della dicotomia festa/festival per farla finalmente sbocciare: un festival all’anno, una festa lungo tutto l’anno.
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