Nella Cinese di Godard (1967), profezia del Maggio e primo passo per definire un film “non politico ma fatto politicamente”, a un certo punto, a far lezione di maoismo arriva da Nanterre un autentico leader, Omar Blondine Diop, senegalese, membro del “22 marzo” di Cohn Bendit. Diop verrà presto espulso da De Gaulle come sovversivo. Continuerà in Senegal la sua militanza, non settaria, e teoricamente attrezzata (Debord, Deleuze, Foucault, molto ben studiati), fino al tragico finale nel 1973 che ci viene raccontato in un bellissimo film-documento di stile “post-godardiano”. Diop morì in custodia, impiccato nella sua cella l’11 maggio 1973, a 26 anni. La sua morte, denunciata dai parenti come un omicidio politico, provocò un’ondata di indignazione e rivolte nel paese.
Quelle que soit la longueur de la nuit (2020) utilizza procedimenti situazionisti come il detournement per dirottare di senso i materiali di repertorio; l’intervento “street art”; il reportage imprevisto (è attiva, la Cina, nella Dakar di oggi); l’intervista provocatoria: gli esperti qui sono i fratelli di Diop, ex militanti del gruppo “Gli Incendiari”, anziani, ripresi di profilo, a luci basse, quasi a farne statue. Il cineasta belga di origini senegalesi Vincent Meessen spiega anche l’insorgenza parallela – via Bruce Lee - delle arti marziali nel terzo mondo, a dare muscoli e velocità a una soggettività maoista che ibridava lavoro intellettuale e materiale. E lascia a ognuno il compito di interpretare se stesso: dal poeta errante all’operaio della Chinatown di Dakar al vice Presidente della Repubblica Popolare Cinese in visita (perplesso) al Museo della Civiltà Nera, progettato negli anni 60 dal padre-padrone della patria Senghor, ma edificato solo oggi da Pechino. Già. C’è stato un 68 anche in Africa, continente indipendente da pochi anni, ma a democrazia controllata, ricattata dal neocolonialismo.
Fu un movimento studentesco e popolare molto più coraggioso e represso che in Europa. Foucault, insegnante a Tunisi in quei mesi, ne fu un appassionato cronista. Il cinema africano da anni ritorna su quelle utopie e tragedie: Lumumba di Peck, Testament di Akomfrah, J’ai vu tuer Ben Barka di Le Peron e Smihi, Allah Tantou di David Achkar…fino a questo documentario fuori schema che parte proprio da un assassinio di stato nel carcere di Gorée (l’isola simbolo dello schiavismo), per raccontare mezzo secolo di lotte contro le tirannie e esigere, mezzo secolo dopo, verità e giustizia.
Quell’orribile crimine causò tra l’altro la rottura tra i due padri della “negritude”, Senghor e Aimé Cesaire. Tutto era iniziato nel 1971 quando “Gli incendiari”, i manifestanti più radicali contro il presidente francese Pompidou, in visita a Dakar, vennero condannati all’ergastolo e ad altre pesanti pene detentive per aver distrutto con le fiamme il Ministero dei Lavori Pubblici e minacciato con le molotov l’illustre ospite. Omar Diop, appena addestrato dai fedayn in Siria, rientrato in patria, fu condannato a 3 anni per progettata evasione dei terroristi, a causa di alcune lettere intercettate nelle quali rifiutava il loro piano (rapire l’ambasciatore francese in Mali e chiedere lo scambio dei prigionieri) invitando i compagni ad approfittare invece del carcere dove stavano, particolarmente “perforabile”.
Quelle que soit la longueur de la nuit è disponibile gratuitamente su Arte.Tv
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta