È dalla somiglianza con un atto voyeuristico che scaturisce il fascino magnetico di questa performance allo Stone Techno Festival 2022 della berlinese Ellen Allien, (disponibile gratuitamente su Arte.Tv) producer cinquantaquattrenne e figura di culto dell’elettronica teutonica ormai al trentesimo anno di carriera, capace nel corso di una corposa serie di album, singoli ed EP di raggiungere un pubblico eterogeneo screziando le sue tracce dance di diverse influenze.
All’interno della cornice industriale delle miniere di carbone dello Zollverein nella città di Essen, Germania, Allien, di rosa smaltata su unghie e capelli, con la sua mise casual nera e qualche elegante movimento di braccia è il centro nevralgico attorno a cui si dispiega una grande scena di massa, un set ad alta intensità (ci si assesta intorno ai 140-150 bpm) strutturato sui suoi caratteristici beat sincopati, in cui la musicista sembra sparire nell’intestino di un organismo impenetrabile che la accerchia e la divora.
Nel susseguirsi ossessivo dei brani, per lo più remix di artisti come Arca, Figure Study ecc. è difficile definire una linea di demarcazione tra lei e il pubblico: siamo all’interno di un dance floor dove non c’è quasi soluzione di continuità tra artista e massa, di un corpo pulsante, irriproducibile nella sua totalità nemmeno attraverso i campi lunghi, dove non esiste un io da ammirare o scandagliare con la macchina da presa ma un noi all’interno del quale perdersi.
Un rave forse andrebbe letto come “fenomeno neurologico”, psichico e intimo
Allien e il suo popolo da una parte e l’alien dall’altra, l’alieno di Nope di Jordan Peele, l’ufo, l’occhio della macchina che osserva reticente e con sguardo non intrusivo, che fluttua su questo tripudio di corpi in trance, di volti celati dietro ventagli, occhiali da sole o eyeliner marcati. Da questa vista privilegiata il dj set si dispiega con le proprie leggi, le proprie pratiche e i propri inviolabili codici che la macchina da presa, vagamente spaesata, non può far altro che restituire con sguardo clinico, provando a scivolare dalla mitologia individualista del palco di un live rock a quella tribale, alienata e collettiva della techno.
Ai particolari delle mani sulle corde della chitarra si sostituiscono quelli delle dita che sfiorano la consolle, alle braccia tese proiettate verso il frontman, gli spasmi muscolari della folla. Certo, a volte può sembrare uno spettacolo violento e grottesco ma, per dirla con le parole di Saimon Raynolds a proposito della techno-hardcore, un rave forse andrebbe letto come “fenomeno neurologico”, psichico e intimo, cresciuto di pari passo con la cultura delle droghe sintetiche e quindi per sua stessa natura - molto si potrebbe scrivere sull’obbligo di applicare degli adesivi che accechino le camere degli smartphone nei club berlinesi e non solo - irrapresentabile.
Se la regia non può quindi restituire la natura profonda del rave come gesto, lavorando sulle sue superfici, questo live di ARTE concert ne produce comunque un perfetto affresco formale, un contenitore di pratiche, gestualità e vezzi.
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