Il titolo della rubrica di questa settimana è venuto abbastanza facile: è lo stesso dello speciale che PrimeVideo ha commissionato a Maurizio Lastrico, comico genovese diventato celebre a partire da Zelig e proseguendo poi per Don Matteo, e che conclude la miniretrospettiva dedicata dal servizio di streaming alla comicità nazionalpopolare italiana. È venuto abbastanza facile usare quel titolo qui, perché funziona bene per spiegare una differenza fondamentale con Alessandro Siani, l’altro comico nostrano messo in vetrina da Amazon. Se a Siani fosse toccato quel cognome, ragionando chiaramente per assurdo, avrebbe scelto un gioco di parole facile facile per poter essere compreso, e apprezzato, proprio da chiunque (che ne so: Maurizio non va mai sul Lastrico, o qualcosa del genere).
Il Lastrico della nostra linea temporale, invece, sceglie di riassumere in un titolo lo stile che gli appartiene, crasi fra alto e basso che unisce il pomposissimo Stanislavskij a un gioco di parole da tradizione orale (sapete come si chiama la più grande ballerina russa? Olanka Sbilenka); senza rinunciare a un omaggio alla propria formazione teatrale classica, ricevuta nella prestigiosa scuola del Teatro Stabile di Genova (dove si è diplomata gente del calibro di Enrico Maria Salerno, Tino Buazzelli, Lina Volonghi, Gastone Moschin, Omero Antonutti ed Eros Pagni).
Intendiamoci: per molti versi, Siani e Lastrico appartengono alla stessa schiatta di comici. Fuoriusciti dall’ambiente teatrale – il primo da un’esperienza più popolare, il secondo da una più accademica – hanno trovato presto (e per merito) fortuna nel cabaret televisivo, per poi passare alla recitazione su piccolo e grande schermo, senza mai dimenticare l’amore per le assi del palcoscenico. La differenza fra il guitto Siani e l’istrione Lastrico, allora, sembra stare proprio nella formazione personale. Il genovese la implementa costantemente nella sua routine, sia quando racconta cosa significhi essere liguri – descrivendo quella sincerità miserabile che aiuta gli artisti: «De André alla fine cantava di bagasce e morte» – sia quando propone il cavallo di battaglia che l’ha reso celebre a Zelig, le sue stanze dantesche (recitate “alla Gassman”) riempite di terzine che raccontano fatti triviali (lo stato delle autostrade liguri, la difficile vita degli autisti di autobus) con aulico ardore.
L’altra grande differenza fra Siani e Lastrico è che quest’ultimo ha affidato la regia del suo speciale – registrato nell’intimo teatro della piccola Camogli – a Roberto Cenci, fra i più prolifici e onnipresenti registi italiani di show televisivi. Una presenza non particolarmente indispensabile, ma utile per seguire con il giusto ritmo le svariate improvvisazioni di Lastrico, che fra uno sketch programmato e l’altro si prende il tempo per interagire con il pubblico, scendere dal palco e addirittura trasformare lo spettacolo in un karaoke comico, invitando gli spettatori a richiedere il loro pezzo preferito.
A parte i cavalli di battaglia televisivi, però, Lastrico pare al suo meglio quando crea, a metà fra un esercizio di improvvisazione e lo stand-up, dei monologhi in cui personaggi ragguardevoli da lui conosciuti o immaginati a partire da archetipi – il proprietario del bar da battaglia con i vecchi che bevono il bianchetto alle dieci, o l’allenatore di una squadra di calcio di bambini – sono impegnati in situazioni normalmente assurde, con Lastrico che racconta, dialoga senza risposta e spara punchline a ritmo vertiginoso. È la preparazione teatrale classica che incrocia l’umorismo letterario nel corpo di un performer che, in quanto a fisicità, non si risparmia neanche per un secondo. Non può essere chiamato stand-up – non ne ha la struttura (per scelta, non perché non ci riesca) – ma corre in parallelo a quel tipo di formato, garantendo a un pubblico di baby boomer (per fare una sintesi semplicistica) l’accesso a un comicità non troppo moderna ma nemmeno orgogliosamente retriva come quella di tanto altro cabaret.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta