Probabilmente in testa alle più grandi frodi della storia, quella della pubblicazione dei diari di Hitler sul periodico “Stern” all’inizio degli anni 80 è la classica vicenda che nessuno sceneggiatore oserebbe immaginare (e già nel 1991 era diventata miniserie: Selling Hitler, con Jonathan Pryce).
Un piccolo falsario, abituato a spillare soldi ai nostalgici del Terzo Reich, scrive di suo pugno pagine di intime confessioni del führer; il volume è intercettato dal giornalista Gerd Heidemann (a sua volta collezionista di cimeli nazisti e proprietario dello yacht appartenuto a Göring); la fame di scoop fa sì che tutti i coinvolti siano spinti a soprassedere su perizie ambigue ed evidenti incongruenze, e lo “Stern” aumenta la tiratura... Fino all’inesorabile conferma: tutto falso.
A distanza di quasi quarant’anni, nel 2019, proprio lo “Stern” ha ripercorso la storia in un podcast, da cui questa scanzonata miniserie è tratta; il registro scelto è, adeguatamente, quello della farsa, coi divi tedeschi Moritz Bleibtreu e Lars Eidinger a incarnare falsario & cronista con buon senso del grottesco, raccapriccianti emblemi di un paese che in piena Guerra fredda (siamo nell’occidentale Amburgo) fatica a fare i conti col proprio passato e volentieri abbocca all’immagine di un Hitler umanizzato e - soprattutto - scagionato dalla colpa dell’Olocausto.
È un peccato allora che la superficie patinata e pop della serie lasci solo intravvedere in controluce questo agghiacciante ritratto collettivo, che oltre la nostalgia di stampo nazista è un esempio da manuale di quei bias cognitivi che, anche oggi, governano la nostra voglia di abbeverarci alle fake news per rafforzare le nostre convizioni.
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