Sono stati Tony dei Jets (americani) e Maria degli Sharks (portoricani), nella Manhattan delle bande giovanili fine anni 50, e Tony (Little Italy) e Tyan (Chinatown), nella New York delle guerre tra gruppi etnici degli anni 80; ma anche Pavel e Hanka (ebrea), nella Praga occupata dai nazisti, e Igor Romanoff e Juliet Moulsworth, rispettivamente figli dell’ambasciatore russo e di quello americano, nell’immaginario stato di Concordia in piena Guerra fredda, o Tromeo Que e Juliet Capulet, tra mutazioni e incesti a Tromaville negli anni 90, e Gnomeo e Juliet, appartenenti alle famiglie rivali degli gnomi da giardino blu e rossi. Perciò, perché non sarebbero dovuti essere Romeo Montecchi e Giulietta Capuleti, figli dei potenti acerrimi nemici di Verona Beach, città californiana che sembra un po’ Miami un po’ Mexico City (dove il film è stato girato), tra sobborghi luridi e palazzi principeschi su cui torreggiano le statue sacre delle due cappelle di famiglia?
La domanda è ovviamente retorica; ma davvero non si capisce perché parte della critica anglosassone si sia all’epoca (il 1996) indignata davanti a Romeo + Giulietta di William Shakespeare, adattamento contemporaneo, ovviamente faraonico e a tempo di rock-latino-punk (più score originale), di Baz Luhrmann della storia del Bardo più gettonata dal cinema (la seconda è Amleto). Lesa maestà? Strano, considerate le varianti di tante versioni precedenti (a proposito, quelle citate sono: West Side Story di Wise e Robbins, China Girl di Abel Ferrara, Giulietta, Romeo e le tenebre di Jirí Weiss, Giulietta e Romanoff di Peter Ustinov, Tromeo & Juliet di Lloyd Kaufman e Gnomeo e Giulietta di Kelly Asbury).
Certo, Luhrmann ha conservato i testi in pentametri giambici (traduzione italiana di Masolino D’Amico) e pare che DiCaprio, Danes e gli altri, invitati a una recitazione moderna e veloce, siano un po’ troppo mugugnanti (gli unici lodati per la dizione sono stati Pete Postlethwaite, frate Lorenzo, e Miriam Margolyes, la balia, entrambi britannici). Ma, in fondo, questo importa poco, visto che i dialoghi sono comunque sopraffatti dalle azioni, sparatorie, inseguimenti in auto, tuffi in piscina, musiche, party (complimenti, gran bella festa, com’è bella la festa analoga e ingigantita di Il grande Gatsby), dal ritmo rap del montaggio, dalla ricchezza e dalla vitalità visiva di un film che sguazza spudorato nel kitsch.
Luhrmann è un autore che ha dilatato a dismisura l’estetica del videoclip (e l’espressione “a dismisura” è l’antidoto alla banalità); ma è anche un regista che viene dal teatro, dove ha diretto soprattutto musical e opera lirica (“generi” sempre bigger than life), ed è perciò abituato all’estetica del “popolare”. Infatti Romeo + Giulietta è una sacrosanta operazione pop, non un aggiornamento per le masse: un repertorio della volgarità spicciola degli anni ‘90, con tutta la smania di apparire di potenti e consorti e la loro esibizione di una lussuosa “santeria” (come la cappella di casa Capuleti), e al contempo un tuffo nella subcultura giovanile dello stesso periodo, dove le facce funzionano a meraviglia, e il bravo Leonardo DiCaprio è il Romeo del momento, intorno al quale ruotano efficaci Claire Danes, non troppo ingenua, e soprattutto il non-ambiguo Mercuzio di Harold Perrineau e l’aggressivo Tebaldo di John Leguizamo. Ma con Shakespeare tutto è legittimo e tutto è possibile, perché lui il “popolare” e il gusto del racconto a forti tinte li aveva nel sangue e nel genio.
IL FILM
Romeo + Giulietta
Drammatico - USA 1996 - durata 123’
Titolo originale: William Shakespeare's Romeo + Juliet
Regia: Baz Luhrmann
Con Leonardo DiCaprio, Claire Danes, John Leguizamo, Pete Postlethwaite, Paul Sorvino, Diane Venora
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