«Everyone thinks that because I’m on The Daily Show I’m here to save the world. I’m here to talk shit, make money and bounce. That is it»
Ronny Chieng
Ronny Chieng, per dire – e non si sa per dire cosa, visto che il periodo è appena iniziato, ma tant’è –, è uno che nella vita ha visto un sacco di posti e, soprattutto, ha vissuto ovunque: è nato in Malesia da genitori cristiani di etnia cinese, è cresciuto tra il New Hampshire e Singapore, ha studiato all’università a Melbourne e adesso vive a New York. È uno che è passato dallo stand-up nei locali australiani direttamente alla tv americana come finto corrispondente nel Daily Show, il programma di satira politica più seguito negli USA – portato al successo da Jon Stewart ed ereditato da Trevor Noah, negli anni ha lanciato Stephen Colbert, Steve Carell, John Oliver, Ed Helms, Hasan Minhaj, Olivia Munn –, per poi (non contento) debuttare anche come attore (e senza sfigurare), partecipando ai due film che negli ultimi tempi hanno fatto onde per la questione della rappresentanza sugli schermi hollywoodiani della minoranza asiatico-americana: Crazy & Rich e Shang-Chi e la leggenda dei Dieci Anelli. In mezzo ci ha pure infilato una sitcom (Ronny Chieng: International Student) che ha creato per la tv australiana ispirandosi alla propria esperienza universitaria. Un successo extra meritato, a maggior ragione per un comico che ha scritto questa perla in risposta al razzismo di Fox News – ma in generale tutti i suoi contributi per il Daily Show sono piuttosto preziosi.
Se lo chiedi a me, però, ovvero uno che apprezza il comico malese in tutte le sue iterazioni (come attore caratterista e come corrispondente buffo in un finto programma di politica), il meglio di sé Ronny Chieng lo dà quando fa stand-up: i suoi due speciali Netflix, Asian Comedian Destroys America! e quest’ultimo Speakeasy, sono fra gli spettacoli comici più divertenti degli ultimi anni; ma se giustamente non vi fidate di una categoria critica così poco obiettiva, si può altrettanto dire che siano anche fra gli spettacoli comici meglio costruiti fra quelli prodotti e trasmessi negli ultimi tempi. Chieng raggiunge il massimo del suo potenziale comico quando ha in mano del materiale più strutturato – rispetto ai cinque minuti, obbligatoriamente da contestualizzare, di un segmento televisivo – che viene adattato in maniera sartoriale a una maschera comica che passa con naturalezza dall’impassibilità di Buster Keaton, allo swag arrogante di Eddie Murphy e Richard Pryor, rimanendo orgogliosamente ancorata alle sue radici culturali.
Speakeasy è uno stand-up completo. Parla alla pancia del pubblico, titillandone la razionalità – Chieng è, al momento, l’unico comico sulla piazza in grado di essere divertente integrando degli elementi di matematica economica nelle sue punchline –, e allo stesso tempo ci manipola modellando a piacere gli stereotipi, gli archetipi strutturali dello stand-up e le nostre stesse aspettative. Lo spiega lui stesso, ripetendosi più volte per intenti comici: «Costruisco l’impalcatura fino in cima, poi tolgo il tappeto da sotto i piedi dicendo qualcosa di scandaloso e solo per spezzare la tensione che ho creato. È l’unico modo che conosco per fare comicità. Sono le basi».
Chieng usa una forma molto raffinata (e sapientemente comunicata) di crowd work – ovvero di interazione programmata con il pubblico in sala, sia improvvisando sia utilizzando materiale precedentemente preparato – ammiccando alla consapevolezza di spettatori che si sentono sgamati, portandoli fino in cima all’impalcatura per poi spingerli a saltare con del bungee jumping inaspettato e, a volte, vertiginoso. Speakeasy è fatto di segmenti lunghi ma perfettamente calibrati, in cui Chieng può giocare con ripetizioni, variazioni, riproposizioni, prosopopea e meta-battute sulla costruzione di una sequenza di stand-up o di un intero spettacolo comico, sull’evoluzione di una battuta, sulla contestualizzazione della stessa. Tutte cose che oltre a essere divertenti (come detto: una categoria critica molto poco obiettiva) sono soprattutto interessanti e stimolanti.
Senza contare che Chieng si fa anche già da solo la recensione – spalando la corretta quantità di letame su chi recensisce uno spettacolo comico alla ricerca dei difetti, dissalando l’arte da tutto il condimento di gioia con cui è stata creata e performata. Dovesse esserci bisogno di ulteriori stimoli per fiondarsi a vedere Speakeasy, Chieng mette anche una meravigliosa ciliegina sulla torta, cagando in lungo e in largo – e con invidiabile grazia per una persona cresciuta in tutte le ex colonie britanniche – sulla testa degli inglesi, sulla Brexit e sul misterioso successo di Mr Bean.
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