C’è un momento, in Winning Time, in cui il personaggio che porta il nome di Bill Sharman, dirigente dei Los Angeles Lakers negli anni 70 ed ex stella del basket giocato nei Boston Celtics degli anni 50, ricorda quando era nella marina durante la guerra, appena diplomato, e i momenti in cui tutto l’equipaggio si ritrovava religiosamente, una volta a settimana, per guardare la singola partita trasmessa dal network delle forze armate. Sharman si chiede: «Perché in una situazione del genere, mentre giochi a nascondino con la morte, una partita del cazzo diventa così importante? Poi ho capito. Come può non essere così importante?».

" data-credits=
Winning Time - L'ascesa della dinastia dei Lakers

Winning Time - L’ascesa della dinastia dei Lakers si sforza molto per farsi portatrice di questo messaggio: l’influenza culturale e antropologica che lo sport, in particolare la pallacanestro, può avere sull’ambiente circostante. E non potrebbe esistere terreno più fertile, per l’argomento, dei Los Angeles Lakers anni 80: la squadra dello Showtime che ha tradotto lo stratificato senso dello spettacolo hollywoodiano sulle assi del parquet e ha rivoluzionato il modo in cui si gioca a (e si vive il) basket, accelerandolo fino al parossismo e rendendolo ancora più eccitante, salvando una lega (la NBA) che al tempo era considerata sull’orlo del fallimento.

" data-credits=
Winning Time - L'ascesa della dinastia dei Lakers

Per riuscire nel suo intento, la miniserie creata da Max Borenstein (già sceneggiatore di GodzillaKong: Skull IslandGodzilla vs. Kong) e Jim Hecht si concentra sui due principali fautori della rivoluzione: Jerry Buss, mente imprenditoriale dietro all’operazione, e Magic Johnson, esecutore sul campo del sogno impossibile. Winning Time gioca una partita piuttosto audace, e il più delle volte malriuscita: per raccontare la delicata equazione i cui termini sono spettacolo e sport, sceglie il primo come elemento preponderante e soffoca il secondo, che diventa accessorio.

" data-credits=
Winning Time - L'ascesa della dinastia dei Lakers

In Winning Time la realtà della cronistoria sportiva non ha cittadinanza, soppiantata dalle necessità spettacolari del racconto deformato da una lente grottesca - dettata esteticamente dalla regia del pilota affidata ad Adam McKay - che piega la Storia (e finanche i caratteri umani) alle proprie necessità di intrattenimento. Il risultato è una serie sopra le righe, esagerata, farcita di falsità al limite della calunnia - Kareem Abdul-Jabbar l’ha ritenuta «deliberatamente disonesta e tristemente monotona», mentre Jerry West ha minacciato di appellarsi alla Corte suprema se HBO non dovesse ritirarla dal mercato.

" data-credits=
Winning Time - L'ascesa della dinastia dei Lakers

Al di là di tutte le invenzioni e delle esagerazioni grottesche a scopo drammatico, Winning Time riesce comunque a isolare una verità sostanziale e cruciale del sistema sportivo (e specialmente cestistico) americano, osservando e raccontando in maniera efficace la maniacalità con cui la NBA cerca di controllare la propria narrativa, il metodo (molto hollywoodiano) con cui isola e manipola retoricamente la gesta dei giocatori per glorificarli e, in un’ultima istanza, fabbricare quella forma moderna e atletica di mitopoiesi che crea coinvolgimento (e indotto economico).

Autore

Nicola Cupperi

Scrive per FilmTv perché gliel'ha consigliato il dottore. Nel tempo libero fa la scenografia mobile. Il suo spirito guida è un orso grigio con le fattezze di Takeshi Kitano.