All’inizio del film, Trinità non appare in sella, ma steso su una slitta indiana trainata da un cavallo. La prima cosa che fa è sbadigliare. È coperto di stracci, ha la barba lunga, i piedi sporchi. L’incipit di Lo chiamavano Trinità... di Enzo Barboni abbassa la mitologia del western italiano e la rende ancora più romanesca (o «ciociara», come disse una volta Tullio Kezich) di quanto non fosse mai avvenuto. Quando arriva in una locanda, cosa fa Trinità? Non chiede whiskey, ma fagioli.
I tempi sono dilatati, alla Sergio Leone: solo che qui se magna
I primi dieci minuti del film firmato E.B. Clucher (quest’ultimo è il cognome materno, di origine lanzichenecca) sono stupefacenti. Sono una delle rappresentazioni cinematografiche più compiute di quello che Michail Bachtin, studiando l’opera di François Rabelais, chiamava il «basso materiale corporeo». E infatti sul tetto della locanda che cosa c’è? Una mucca. La mucca sul tetto, nell’iconografia popolare del medioevo, è uno dei simboli del mondo rovesciato.
E Barboni, che non aveva letto Bachtin ma Rabelais magari sì, rovescia il mondo del western italiano. Basta con superuomini alla Clint Eastwood o con eroi maledetti alla Gianni Garko. Terence Hill si abbuffa, beve, rutta sotto gli occhi allibiti degli avventori e dell’oste. I tempi sono dilatati, alla Sergio Leone: solo che qui se magna.
Le pistole sparano solo al nono minuto, dopo un’attesa spasmodica gestita con virtuosismo dal regista e dal suo montatore Giampiero Giunti. E quando finalmente Trinità rientra nei canoni del pistolero infallibile, questo avviene con una rapidità così surreale da prolungare la farsa, la parodia, lo sberleffo. Da Rabelais si è passato al Cocco Bill di Benito Jacovitti. Poi, con l’entrata in scena di Bud Spencer, il film si normalizza.
Barboni perfeziona una coppia che veniva da tre western diretti da Giuseppe Colizzi (Dio perdona... io no!, I quattro dell’Ave Maria e La collina degli stivali): due finti cinici, che nascondono i buoni sentimenti dietro le vanterie da bulletti e i modi da burini. Adotta una tipizzazione da fumetto, che ammicca a un immaginario ormai familiare (il saloon, lo sceriffo corrotto, il vecchietto, il bandito messicano cialtrone, il latifondista malvagio, la carovana dei mormoni...).
E soprattutto ridimensiona la violenza: le pistole sono sostituite man mano dagli sganassoni, la resa dei conti finale tra buoni e cattivi è risolta non con un massacro, ma con una lunga e incruenta scazzottata di oltre sei minuti, accuratamente coreografata dai cascatori di Cinecittà.
Risultato: un incasso di oltre tre miliardi di lire, il western italiano di maggiore successo di sempre; un sequel, ...continuavano a chiamarlo Trinità; decine di imitazioni; un successo globale. «Quando sono andato a vedere il primo Trinità mi sembrava di essere un imbecille, tutti che ridevano e io che non capivo perché», ha dichiarato Sergio Leone. Trinità «ha ammollato un colpo mortale al western italiano», ha ribadito Sergio Corbucci, secondo cui «ridicolizzandolo a quel punto, non si poteva più ammettere un pistolero che sparasse seriamente».
Chiaramente rosicavano: tant’è che presto capirono che il vento era cambiato, e si inserirono (come produttori o come registi) nell’ondata di western comici e fracassoni che riempirono le sale fino al 1975. Mentre le due star Mario Girotti e Carlo Pedersoli, a partire da ...più forte ragazzi! (1972) di Giuseppe Colizzi, trasportarono la formula di Barboni in film di ambientazione contemporanea.
IL FILM
Lo chiamavano Trinità...
Western - Italia 1970 - durata 117’
Regia: E.B. Clucher (Enzo Barboni)
Con Terence Hill, Bud Spencer, Gisela Hahn, Steffen Zacharias, Dan Sturkie, Farley Granger
Al cinema: Uscita in Italia il 09/06/2022
in streaming: su Infinity Selection Amazon Channel Netflix Netflix basic with Ads Paramount+ Amazon Channel Paramount Plus Paramount Plus Apple TV Channel Timvision Plex
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