Milano anni 70, l’apostrofo nero tra Marsiglia e Palermo. Mentre declina la prima ed emerge la seconda come centro di produzione e traffico di droga, il capoluogo lombardo diventa il crocicchio dei peggiori traffici, tramonta la malavita tradizionale della banda dell’Ortica, la cosiddetta Ligera, e si muovono feroci e rapaci i suoi eredi, soprattutto la batteria di Renato Vallanzasca e la più strutturata organizzazione di Francis Turatello con le bische sparse ovunque. Ma si incontra di tutto. Per dire, resta memorabile il verbale della polizia stradale che nel 1971 ferma per un controllo una macchina con quattro giovani siciliani, i cognomi sono Badalamenti, Buscetta, Provenzano e Riina.
La mala - Banditi a Milano è una miniserie in cinque puntate realizzata benissimo da Paolo Bernardelli e Chiara Battistini che racconta la cronaca nera, nerissima, sotto il Duomo dal 1970 al 1984, tre lustri con una percentuale di morti ammazzati per anno vertiginosa. All’attività della criminalità “comune” si mescolava anche la violenza politica, certo, ma il clima era quello assurdo rievocato dai superstiti della stagione, veri protagonisti di questo documentario.
Da una parte Achille Serra, l’allora capo della mobile, un mastino rispettato da tutti, in primis i banditi, che neanche girava armato ma aveva la sua squadra di sbirri esperti e implacabili. E il corpo inquirente, dal giovane Piercamillo Davigo ad Alberto Nobili, oggi capo del pool antiterrorismo, allora in trincea insieme alle volanti.
Dall’altra parte Renato Vallanzasca, lucido e coerente con il suo essere criminale a tutto tondo nonostante siano passati 50 anni dal suo primo arresto (da allora è stato fuori di galera solo quando è evaso), i suoi ex complici Osvaldo Monopoli e Tino Stefanini e poi questo personaggio incredibile, Lello Liguori, gestore di locali amico storico di Bettino Craxi, non organico alla mala ma in buoni rapporti con tutti (più o meno), quattro mogli e 11 figli («o almeno credo, io ne ho riconosciuti 11 poi bene non so»), uno che non fosse esistito davvero lo diresti un personaggio da film.
E un po’ film questa tragica epopea conclusasi con la Milano da bere e l’arresto di Angelo Epaminonda detto il Tebano (nel frattempo deceduto, ma ci sono le sue testimonianze verbali in audio) lo è sicuramente stata, con i criminali a fare i divi e gli spacconi fuori e dentro le aule di giustizia e le loro donne ad aspettarli. A parte Vallanzasca, che è sempre stato più cane sciolto, i grandi nomi di questa storia hanno profili criminali che si intrecciano a quelli delle pagine più cupe degli Anni di piombo e non solo: Turatello si dice fosse figlio di Frank “Tre dita” Coppola, su Milano per tutti gli anni 70 si era stesa l’ombra dell’italoamericano Joe Adonis e forse, per un po’, non si è mossa foglia che Luciano Liggio non volesse. Tutto finito magicamente con gli anni 80? No, tutto cambiato. Come dice il cantautore milanese Carlo Fava in una sua canzone: «La malavita non è più il belé del quarto raggio, non è il bar del Lorenteggio, la malavita che cos’è? È la scatola cinese delle aziende e delle imprese...».
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta