Il carcerario, da noi, si fa pochissimo. Ed è un crimine, visti i risultati che, almeno nel breve, si possono ottenere: al cinema l’eccellente Ariaferma di Leonardo Di Costanzo, anche Sulla mia pelle di Alessio Cremonini, in tv Mare fuori per Rai2 (firma qualche episodio Peppe Fiore, qui head writer). Certo: poteva essere il nostro Oz (Tom Fontana, HBO, 1997-2003), ma Oz è una delle serie migliori di tutti i tempi.
Il re è Bruno Testori (aka Luca Zingaretti, aka, inevitabilmente, Il commissario Montalbano), direttore di un carcere (nella location: Le Nuove di Torino) liminare, in una città di frontiera (una Trieste mostrata ed evocata, purtroppo mai protagonista), e al limite. Il modello più prossimo è il “Vic” di The Shield. In carcere spaccia, comanda, sceglie, discrimina, uccide. Testori è la legge, fuori dalla legge (sarebbe chiarissimo anche se i personaggi non lo ripetessero ogni cinque minuti), è padre, ex marito, guida dei suoi, e padre dei suoi.
Character design visivo di alto livello: il Testori di Zingaretti è talmente netto (i vestiti, i movimenti, la postura) da ridurre al minimo il confronto con la sua iconografia televisiva (anche quando beve whisky su una terrazza guardando un mare, nero). C’è regime nel carcere del re, e c’è una corte, con una sola donna (Isabella Ragonese), anche se le vere protagoniste sono le donne: l’ex moglie (Barbora Bobul’ová), la figlia (una presenza fantasmatica, costante, un confronto, tra lei, il mondo degli adulti e la malattia), la PM (Anna Bonaiuto, una delle migliori caratterizzazioni femminili degli ultimi anni).
C’è un morto nel suo regno, ed è il suo migliore amico (un Amleto al contrario) e poi un altro, il ras slavo. Chi è stato? Così sarebbe perfetto, perché Giuseppe Gagliardi (1992-1993-1994) è ormai una marca autoriale riconoscibile della fiction Sky (e delle produzioni Wildside - The Apartment), e controlla, visivamente, lo spazio della prigione con la stessa fermezza del suo alter ego narrativo. Gagliardi e Zingaretti regnano.
Poi il racconto si arricchisce (appesantisce), con la radicalizzazione islamica, un (bellissimo, a livello iconico) volume segreto tra Corano e Le mille una notte. E sbanda, si perde, un po’ (nel finale ad altissima tensione) fa persino ridere, con quell’elicottero che gira sul carcere, che se ci fosse un Testori delle scuole di sceneggiatura tv, avrebbe detto qualcosa, chiamato qualcuno in ufficio, magari snudato il manganello telescopico (un gran bel gesto visivo, sempre in sottrazione, una punteggiatura per accompagnare la frustrazione collettiva).
La regia e l’interpretazione che vorremmo dalla fiction complessa nazionale, alla fine, compensano tutte le slabbrature in scrittura (che sarebbero, altrimenti, intollerabili). Come nel carcere del re, bisogna accettare il compromesso: dirigere e spacciare, giudicare e giustificarsi, girare bene e scrivere benino (che pure c’è Bises, un po’ meno re del solito). Poteva essere Oz, ma per fortuna non è (di nuovo) Montalbano. Finalmente abbiamo accettato che i ruoli più interessanti per Zingaretti siano da rough hero. Uno dei prodotti (imperfetti) più giusti per Sky.
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