Oggi diciamo ciao a Gilbert Gottfried, che se n’è andato troppo presto (aveva 67 anni) per colpa di un problema al cuore causato da una forma di distrofia muscolare, e che ci fornisce un’ottima occasione per parlare di un raro tipo di comico, uno dei più esilaranti se lo spettatore accetta di stipulare un patto con lui o con lei.

Parliamo del comico che non si preoccupa di mettere un filtro preventivo a quello che dice per evitare di offendere o indignare qualcuno; del performer a cui non importa neanche un quarto di cazzo di far ridere tutto il suo pubblico. Gottfried era l’ultimo buffone rimasto (fra quelli celebri) a fregarsene totalmente dei limiti di decenza, volgarità, continenza, tempismo, buon gusto e buon senso. Se voleva fare una battuta, la faceva. E poteva permetterselo perché era un comico vero, che saliva sul palco – indossando il suo personaggio urlatore dal sorriso sghembo e gli occhi strizzati – per dare spettacolo, non per essere cattivo o malizioso o per far parlare di sé; per intrattenere il suo pubblico, anche se significava alienarsi qualcuno con una soglia dell’indignazione troppo bassa per sopportare quel livello di provocazione.

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Gilbert Gottfried

Gottfried ti fa ridere – perché lo stacco vertiginoso creato da un minuscolo ebreo, con quella voce e quella faccia tra il compiaciuto e il divertito, che fa certe battute irripetibili non può che essere uno spasso –, ma ti fa anche agitare sulla sedia al pensiero di «Ma le può davvero dire certe cose? Se Chris Rock ha preso uno schiaffo per aver scherzato sulla crapa pelata di una persona con l’alopecia, a Gilbert Gottfried cosa potrebbero fare? Dobbiamo preoccuparci? È il caso di avvisarlo? Ops, ha appena scherzato sulla qualità delle secrezioni vaginali di mia nonna. Non sono più così in ansia per lui, maledetto nano».

Anche se non seguite da vicino la tv americana, Gottfried magari lo ricordate nella piccola apparizione di culto che fece in Beverly Hills Cop II, in cui duettava alla pari con Eddie Murphy; o forse ne riconoscete l’inconfondibile voce in quanto doppiatore originale del pappagallo Iago in Aladdin e nei suoi sequel, o come protagonista di un memorabile video virale in cui legge alcuni estratti di 50 sfumature di grigio.

In realtà Gilbert Gottfried, newyorchese doc dal primo capello fino all’ultima unghia del piede, è sempre stato un animale da palcoscenico, debuttando come comico stand-up a soli 15 anni e continuando a calcare le assi di club (rigorosamente fumosi) e teatri per tutte le successive cinque decadi. Il resto – il doppiaggio, i piccoli ruoli in film e serie, le ospitate nei quiz televisivi, le pubblicità – serviva semplicemente da volano per i suoi spettacoli dal vivo, e da garanzia per eventuali mutui. Gottfried è stato un comico prima di tutto apprezzato dagli altri comici; e che, per sua stessa costituzione e per il personaggio che si era creato, aveva bisogno dell’energia di un pubblico dal vivo per funzionare veramente al massimo.

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Gilbert Gottfried

E questo succedeva anche quando floppava in maniera clamorosa. Come quella volta (rimasta piuttosto celebre) in cui, tre settimane dopo l’attacco alle Torri gemelle, ebbe l’incredibile faccia tosta di fare la prima battuta (in pubblico) sulla tragedia dell’11 settembre («Arrivo dalla California e volevo venire in aereo, ma non riuscivo a trovare un volo diretto. Mi hanno detto che devono prima fare tappa all’Empire State Building»). Era un evento privato, tenuto al celebre Friars Club di New York – locale per soli membri (solitamente comici o celebrità) famoso per ospitare i “roast”, in cui l’ospite di turno viene arrostito a forza di essere preso o presa in giro – in onore di Hugh Hefner. Il pubblico non prese bene la battuta. Troppo presto, ululavano.

Ma non esiste troppo presto per un comico come Gottfried, a cui non frega una beneamata fava di come ci sentiamo o di quanto ci indigniamo. Per lui, tragedia e commedia vanno sempre a braccetto. Più è grande la tragedia, più è forte la necessità di cominciare il prima possibile a esorcizzarla con una risata. E se c’è bisogno di un matto che si sacrifichi per spalancare quella porta, Gottfried era sempre pronto a ricevere il proiettile. Quella sera al Friars Club, però, il pubblico gli si era rivoltato contro e non c’era speranza di riconquistarlo prendendo in giro Hugh Hefner per il suo pisello decrepito. Sapete cosa fece Gottfried per recuperarne il favore (del pubblico, non del pisello decrepito di Hefner)? No, non si scusò. Né fece marcia indietro, proseguendo con qualcosa di innocuo. Rincarò la dose, raccontando a modo suo una barzelletta storica – quanto storica? Abbastanza da avere la sua pagina su Wikipedia e un documentario dedicato –, quella degli Aristocratici. Una storiella sozzissima, fra le più riverite nel ristretto club dei comici di professione, che esiste dai tempi del vaudeville e che nasce per prendersi gioco di ogni possibile tabù, dal più disgustoso al meno discusso. Questo è il risultato. Che gli dèi della comicità abbiano in gloria Gilbert Gottfried.

Autore

Nicola Cupperi

Scrive per FilmTv perché gliel'ha consigliato il dottore. Nel tempo libero fa la scenografia mobile. Il suo spirito guida è un orso grigio con le fattezze di Takeshi Kitano.