All’Opéra di Parigi la ballerina Zoé è una stella cadente: da quando un incidente ha fermato la sua carriera vive una crisi che le ha fatto perdere lucidità e disciplina. Se l’istituzione vuole rimuoverla, lei cerca in tutti i modi di ottenere una seconda possibilità.
Parallelo il cammino di Flora, diciannovenne appena entrata nel tempio, che ha poco tempo per dimostrare il suo valore, ma è ostacolata dalla sua formazione e dai pregiudizi sul colore della sua pelle.
Intanto Sébastien, giovane e ambizioso direttore, muove i fili del gioco cercando di imporre la sua visione. L’aspetto più interessante della serie creata da Cécile Ducrocq e Benjamin Adam è di rappresentare l’accademia di danza non solo come scenario prevedibile di conflitti di potere e lotte intestine, quasi una dissimulata corte regale abitata da una fauna gerarchizzata (direttori, coreografi, étoile, ballerini, soprannumerari, maestranze), ma soprattutto come ambiente lavorativo regolamentato.
Così le questioni della rivincita, della competizione (il primo campo da gioco? Il lago dei cigni, ovviamente), della discriminazione (cigno bianco e nero, anche nel senso della razza) si esprimono attraverso rivendicazioni sindacali, cause legali, scioperi, tavoli di trattative. Se l’intrigo dunque non manca (alla stessa maniera di una Tiny Pretty Things, al netto delle svisate di genere e dell’erotismo patinato), lo si declina però su un piano realistico in cui in discussione ci sono pensioni, preavvisi obbligatori, licenziamenti, reintegri, mobbing. E in cui l’esibizione si valuta anche in termini di qualità della prestazione.
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