Nel suo ultimo film Il quadro rubato, al cinema dall’8 maggio con Satine, Pascal Bonitzer entra nel mondo dell’arte come si varcherebbe la soglia di una casa borghese: con rispetto, ma anche con l’ironia sottile di chi ne conosce già gli eccessi, i non detti, le maschere. Dopo Tout de suite maintenant, che scandagliava il mondo della finanza, Bonitzer torna con una commedia drammatica dove una tela ritrovata diventa il centro di un racconto sul potere, l’identità e la memoria.

Un capolavoro dimenticato (e ritrovato)
La storia del film Il quadro rubato parte da un evento reale: l’incredibile ritrovamento di un quadro di Egon Schiele, scomparso durante la Seconda guerra mondiale, in casa di un giovane operaio di Mulhouse. Nel film, il quadro - un paesaggio insolito per Schiele, “un campo di girasoli, certo alla maniera Schiele”, come dice il regista - viene trovato per caso da André Masson (Alex Lutz), banditore d’asta in una prestigiosa casa d’aste parigina, la Scottie’s.
Per Masson, la scoperta è la possibile consacrazione di una carriera, ma è anche l’inizio di una battaglia fatta di rivalità professionali, ostacoli legali, dubbi morali. Bonitzer ci avverte: “Il mondo dell’arte, nella misura in cui è contaminato dal denaro, è costantemente attraversato dalla minaccia del falso”. Eppure, nel film, quel quadro è autentico: ciò che conta non è tanto la prova, quanto ciò che l’opera smuove nei personaggi.
Un microcosmo di contrasti
La forza del film Il quadro rubato sta anche nella sua galleria umana. Accanto ad André troviamo Bertina (Léa Drucker), ex moglie ed esperta d’arte con cui condivide un’intesa lavorativa solida, nonostante le ferite personali. C’è poi Aurore (Louise Chevillotte), una stagista tanto brillante quanto sfuggente, vera mina vagante della narrazione. Bonitzer la descrive così: “Aurore mente tutto il tempo senza che si sappia perché. E io stesso non lo so”. Una scelta affascinante: Aurore diventa simbolo dell’ambiguità che permea l’intero film.
Ma il personaggio che sorprende e commuove è Martin Keller (Arcadi Radeff), il giovane operaio che trova il quadro nella casa della madre. Per Bonitzer, è “il vero eroe della storia. Martin è toccante e misterioso. Intuisce quanto il denaro possa rovinare una vita”.Quando, alla fine, Martin riceve un generoso compenso dagli eredi legittimi del quadro, decide di non farsi travolgere: accetta il gesto, ma non cambia stile di vita, né rinnega i suoi amici.
Questa tensione tra mondi diversi - quello borghese e competitivo dell’arte e quello semplice, diretto e genuino di Martin - è una delle novità per Bonitzer, che ammette: “Per la prima volta ho voluto confrontare due ambienti socialmente eterogenei”. E il film riesce nel compito senza paternalismi, usando anche il comico come leva per scardinare i cliché.

Tra ironia e tragedia
Il film Il quadro rubato non è solo un thriller d’arte. È anche una riflessione sulla memoria storica. La sequenza in cucina con la famiglia Keller è toccante: lì si racconta la vicenda tragica della spoliazione nazista. “Il tono si fa più grave perché si tocca la Shoah”, spiega Bonitzer, che però non fa mai di questo sfondo il “tema” del film. Lo usa come tessuto connettivo, una cornice etica che pesa sulle azioni dei personaggi.
Allo stesso tempo, Bonitzer alterna i toni, come in una partitura musicale: “Ho amato questo gioco tra le trame e i personaggi principali e secondari. Ha qualcosa di musicale”. Il ritmo del film è fluido, fatto di passaggi di testimone narrativi. La messa in scena accompagna questo andamento: molti piani a spalla, luce naturale che si scalda progressivamente. E quando il quadro arriva in sala d’aste, il rosso domina l’inquadratura, segnando un punto di svolta visivo ed emotivo.
Un film sull’identità (e sull’umiliazione)
Al centro del film Il quadro rubato c’è anche un tema che Bonitzer definisce ricorrente nella sua filmografia: l’umiliazione. André e Martin condividono piccole ferite infantili che hanno segnato le loro vite. Per André, l’umiliazione ha portato a una fame di rivalsa: orologi di lusso, abiti su misura, auto costose. Per Martin, invece, è un monito: il successo non deve diventare una trappola.
Il film esplora anche le relazioni genitoriali, in particolare quella tra Aurore e il padre, figura “fantasmatica”, interpretata con malinconica eleganza da Alain Chamfort. Una presenza che ricorda il padre di Amleto, come suggerisce Bonitzer, e che aggiunge un’ulteriore sfumatura emotiva a un personaggio altrimenti enigmatico.
Arte, verità e mercato
Il quadro rubato è un film che affascina proprio perché sfugge alle etichette. Non è solo un dramma, non è solo una commedia, non è solo un giallo sull’autenticità. È tutte queste cose insieme. E soprattutto è una riflessione, a tratti malinconica e a tratti ironica, su come l’arte possa ancora parlarci di giustizia, bellezza, corruzione e riscatto. Senza mai prendersi troppo sul serio, ma con la serietà di chi conosce bene le finzioni del reale.
”C’è sempre qualcosa di cinico e di schifoso nel mondo del denaro. È così”, ha sentenziato Pascal Bonitzer, che con questo film dimostra che l’arte e il cinema possono ancora svelare, con intelligenza e stile, le verità nascoste dietro le cornici più dorate.
Filmografia
Il quadro rubato
Drammatico - Francia 2024 - durata 91’
Titolo originale: Le tableau volé
Regia: Pascal Bonitzer
Con Alex Lutz, Léa Drucker, Olivier Rabourdin, Nora Hamzawi, Louise Chevillotte, Christophe Paou
Al cinema: Uscita in Italia il 08/05/2025
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