James Cameron è un regista e una persona davvero buffa. Non solo perché ha l’hobby di costruirsi piccoli sommergibili da sette e mezzo metri per esplorare i fondali oceanici – e quanta tracotanza devi spurgare per sceglierti, nella vita, un hobby che ti porta a 11,000 metri di profondità alla modica cifra di qualche milione di dollari? Per non parlare della voglia di passare del tempo con la famiglia «Io questa domenica vado con gli amici nella Fossa delle Marianne, non aspettatemi per cena ciao»; Cameron, si diceva, è buffo non solo per la vita vissuta a livello Tom Cruise, ma con la scienza vera al posto di Scientology, ma anche perché il suo nome rimarrà per sempre scolpito nei libri di storia del cinema per aver diretto due fra i più popolari film di sempre: quello che ti ricordi a memoria anche se non l’hai visto, e l’altro di cui non sapresti nemmeno dire la trama (non fosse che puoi cavartela usando lo scheletro di quella di Pocahontas).
Di Avatar, il secondo dei due, oggi come ieri non ce ne frega nulla, e al massimo ricominceremo a parlarne quando usciranno gli innumerevoli sequel. Di Titanic se n’è parlato in lungo e in largo – giustamente: è un film enorme a tutti i livelli ed è forse il punto più alto raggiunto dal potenziale spettacolare del cinema – e se ne parlerà anche oggi: non solo perché il film compie quasi 25 anni (è uscito in patria nel dicembre del ‘97 e in Italia è stato distribuito il mese successivo), ma anche e soprattutto perché il 15 aprile compie 110 anni il famigerato naufragio su cui Cameron ha innestato l’iconico melodramma di Jack e Rose.
La manfrina la conosciamo più o meno tutti: la storia del Titanic è rimasta impressa così a fondo nell’immaginario sia, chiaramente, per la quantità insensata di morti – le fonti variano, ma concordano sulla forbice: sono scomparse fra le 1490 e le 1635 persone – ma anche e soprattutto per il livello di ostinata sopravvalutazione delle proprie forze mostrato da tutte le persone coinvolte. La stampa irlandese (il Titanic fu costruito in un celebre cantiere navale di Belfast) diceva «Dio in persona non riuscirebbe ad affondare questa nave!». I costruttori se la sentivano talmente calda che quando lo stagista è entrato in ufficio per avvisare che erano state costruite e montate solo 16 lance di salvataggio – oltretutto prive di bussole e di lampade – a fronte delle 64 previste dal progetto, i boss si sono guardati (a fatica, in mezzo a tutto quel fumo di sigari costosi) e si sono messi a ridere, sbertucciando la pignoleria dello stagista, bullizzandolo con qualche schicchera dietro l’orecchio e dicendogli che con sole 16 lance il ponte avrebbe avuto un aspetto molto più dignitoso.
Lo stesso capitano del Titanic Edward Smith è stato titolare di una clamorosa dichiarazione registrata nel 1907: «Non sarei in grado di immaginare niente che possa causare l’affondamento di una nave. L’ingegneria navale moderna è troppo avanzata». E per fortuna che uno sciopero dei minatori di carbone nei primi mesi del 1912 costrinse molti titolari di biglietto a rinunciare al viaggio, non potendo raggiungere in tempo il luogo dell’imbarco: se il Titanic fosse stato a pieno regime, come voleva la tradizione dei viaggi inaugurali per le grandi navi da crociera, i morti sarebbero stati almeno il doppio.
L’ultimo grande atto di tracotanza che ha condannato la nave da crociera più grande dell’epoca forse vi suona famigliare, dev’essere che fa parte della natura collettiva umana: ai tempi era opinione diffusa e generalmente condivisa che il COVID fosse solo un raffreddore che le lastre di ghiaccio sulla tratta atlantica non ponessero un serio pericolo in caso di collisione con navi di quella portata. Una credenza dettata dall’esperienza, e ci mancherebbe, ma anche dal sempreverde ragionamento «Finché funziona, anche se una cosa stupida pericolosa e insensata come sottovalutare una pandemia giocare ai navescontri con gli iceberg, continuo a farlo». La ciurma del Titanic era stata avvertita da un’altra nave (la Mesaba) della presenza di un grosso blocco di ghiaccio sulla loro tratta, ma l’ordine fu quello di mantenere la velocità di crociera (quella massima consentita dai motori e dalla stazza).
Chiaro che la tragedia del Titanic, così enorme e così drammatica, abbia titillato il cinema fin da subito. Una delle sopravvissute al disastro è la stellina del cinema muto americano Dorothy Gibson, che ci mette appena ventinove giorni a realizzare un film-resoconto dell’avvenimento: Salvata dal Titanic è uno dei più rapidi esempi di sempre di instant movie e, purtroppo, è andato perduto. L’altro grande film, prima del rumoroso avvento di Cameron, che ricostruisce e drammatizza gli eventi del naufragio è il britannico Titanic, latitudine 41 nord, uscito nel 1958. Il film diretto da Roy Ward Baker si ispira al reportage besteller Titanic: La vera storia, pubblicato da Walter Lord nel 1955, e ha un approccio più vicino al documentario drammatico rispetto al côté melò scelto dall’autore canadese.
E poi arriva James C., che nel 1996 invade il Messico e si fa comprare da 20th Century Fox, colpevole di non essere già in possesso di un teatro di posa abbastanza grande, 16 milioni di metri quadri di costa per costruire un enorme cisterna in cui ricostruire il 90% della nave originale – rigorosamente a grandezza naturale e con l’aiuto estetico di un paio di storici del Titanic.
Un’impresa monumentale, che anche solo a pensarla fa venire le vertigini. Cameron l’ha pensata, l’ha voluta fortissimamente e l’ha realizzata con un grado di perfezione che rasenta la maniacalità. Alla fine ha avuto ragione lui – e ci mancherebbe: già dev’essere difficile star dietro a Cameron quando ha ragione, figurati quando floppa – creando un film enorme, un monumento alla storia, alla tecnica e alla spettacolarità drammatica ed estetica della macchina cinematografica. Tra il ‘97 e il ‘98 Titanic ha letteralmente sfasciato i botteghini di tutto il mondo senza gli steroidi del 3D – che arriveranno con una nuova uscita in sala per il ventennale del film, rimpolpando l’incasso totale con altri 350 milioni di dollari – e quasi nessuno è stato in grado di farci niente. Quasi nessuno. Perché c’è un tale Luigi D’Alessio detto Gigi che nel gennaio del ‘98 usciva nei cinema di Napoli con il suo secondo film da protagonista – il primo, Il sole nello stadio, è così oscuro da non essere presente su IMDb e secondo me manco lui se lo ricorda. Annaré, regia di Ninì Grassia, esce lo stesso weekend di Titanic (e di La maschera di ferro), e nei cinema campani in cui è in programmazione straccia Cameron e DiCaprio fischiettando la Tammurriata nera, come se niente fosse. Idoli.
Sul Titanic
Titanic, latitudine 41 nord
Drammatico - Gran Bretagna 1959 - durata 125’
Titolo originale: A Night To Remember
Regia: Roy Ward Baker
Con Kenneth More, Ronald Allen, Robert Ayres, David McCallum
Titanic
Catastrofico - USA 1997 - durata 194’
Titolo originale: Titanic
Regia: James Cameron
Con Kate Winslet, Leonardo DiCaprio, Billy Zane, Kathy Bates, Gloria Stuart, Frances Fisher
Al cinema: Uscita in Italia il 06/04/2012
in streaming: su Disney Plus Apple TV Microsoft Store Rakuten TV Google Play Movies Netflix Netflix basic with Ads Amazon Video Timvision
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