Vi siete mai imbattuti in uno di quegli articoletti che da qualche anno pullulano online e vi apostrofano «E se la vostra azienda fosse una setta? Cinque segnali per capirlo», e l’avete letto con un po’ troppo interesse? Se sì, è il momento di guardare Scissione, serie che dietro le premesse ibride tra sci-fi distopica e ossessioni da cinema civile settantesco è il miglior prodotto possibile per esplorare il labile e perturbante confine tra l’odierna cultura aziendale e la logica della setta: esercizi di team building, fidelizzazione coatta, clima paranoico... Ed ecco che, come gli impiegati del piano della scissione, anche noi ci riattiviamo dopo tre anni e siamo proprio là dove eravamo rimasti: alla fine di una prima stagione che pareva poter cambiare tutto per la Lumon e per i suoi dipendenti dal cervello diviso in due.

E invece - e non poteva essere altrimenti, per una serie che è specchio del mondo delle corporation - nulla è cambiato: la ribellione è stata riassorbita, Mark S., Helly R., Dylan G. e Irving B. sono di nuovo alle loro alienanti scrivanie a dar la caccia a numeretti incomprensibili. Stavolta, però, con una buona dose di determinazione in più nello scoprire che fine ha fatto Gemma/signora Casey, dove diavolo sta quel corridoio nero, cosa c’entrano le caprette, e via elencando i misteri-tormentone che tengono insieme una seconda annata meno coesa della prima, ma altrettanto brillante. Se l’obiettivo della precedente stagione era provare a tornare integri, a ricucire le due parti scisse in un’unica persona, quella che si configura ora è una vera e propria lotta (di classe, certo) tra innie e outie, gli interni - condannati a esistere solo nel limbo del lavoro a tempo pieno - e i loro esterni, titolari ufficiali di quel corpo che dalle 9 alle 17 cedono all’azienda.

«Ci hanno dato metà di una vita e credono che non lotteremo per essa» arringa una tenace Helly nel finale di stagione, che sfodera sangue e parate musicali e si chiude, ovvio, sul freeze frame di un cliffhanger (ma la terza annata è confermata). Gli innie ora sono disposti a combattere per esistere, perché il cuore ha le sue ragioni che la ragione (scissa) non conosce: l’amore tra Mark S. e Helly R., quello impossibile e struggente tra Irving B. e Burt (John Turturro e Christopher Walken, qui meno utilizzati ma strepitosi nel mélo in miniatura che sta incastonato in quest’annata), quello imprevisto tra Dylan G. e la moglie del suo esterno (la splendida guest star Merritt Wever), perché dovrebbero valere meno di quello tra Mark e Gemma (esplorato finalmente in una dolente puntata flashback, per la regia della direttrice della fotografia della serie Jessica Lee Gagné; quasi tutte le altre le dirige Ben Stiller, con mano sempre più matura), che apparentemente era la linea narrativa portante di Scissione? È soprattutto in questa deviazione che la seconda annata si fa interessante, al di là della mitologia della Lumon, di cui scopriamo dettagli sempre più oscuri nel bellissimo episodio incentrato sulla Harmony Cobel di Patricia Arquette, in un viaggio a ritroso nel gelido e ottenebrato villaggio dove tutto ha avuto inizio.
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