Se ti fidi dei vertici del Partito Comunista Cinese – per carità, sono scelte – allora questa è una storia talmente perfetta che per non farne un film stucchevole è necessario trasformarla in un fantasy con elisir di lunga vita, reincarnazioni, amori millenari e menate varie.
Nel marzo del 1974, con il paese ancora beccheggiante per gli strascichi della non riuscitissima Rivoluzione culturale, il contadino Yang Zhifa rimane a secco: nel suo villaggio, quasi al centro geografico della Cina (non troppo distante dall’ex capitale imperiale Xi’an), perdura una siccità che mette a rischio il raccolto e lo spinge a reclutare i suoi cinque fratelli (più un vicino di casa) per scavare un pozzo d’emergenza nei pressi di una sorgente poco lontana. Arrivati a 15 metri di profondità, Zhifan e i sei amici del badile magico trovano la testa di una statua di terracotta e una punta di freccia in bronzo che hanno proprio l’aria di essere roba vecchissima. Da bravo cittadino mosso esclusivamente dal sincero amore verso il partito, e per nulla intimorito dalla certezza di epurazione nel caso in cui fosse stato scoperto a occultare un reperto storico, Zhifan avvisa le autorità, inconsapevole del fatto che lo stato gli donerà una generosa e allegorica cartellata sulle gengive come premio per uno dei ritrovamenti archeologici più importanti del 900. Il 29 marzo 1974 il contadino Yang Zhifa scopre l’Esercito di terracotta del primo imperatore cinese Qin Shi Huang e accetta con umile gioia la ricompensa del partito: un anno di stipendio da zappatore (aggiornato all’inflazione, meno di 40 euro), l’esproprio dei terreni di famiglia e un posto fisso da attrazione al negozio di souvenir del sito archeologico.
L’Esercito di terracotta è una faccenda mastodontica, fatta costruire fra il 220 e il 210 avanti Cristo per soddisfare l’ego spropositato di una persona che, bisogna ammetterlo, un paio di risultati dal suo punto di vista li aveva raggiunti. Qin Shi Huang è stato quello che ha posto fine al periodo degli stati combattenti, unificando il regno e fregiandosi per primo del titolo di imperatore cinese; ed è stato anche il primo sovrano a scacciare temporaneamente i barbari Xiongnu dal Nord-Ovest del paese, avviando il progetto della Grande muraglia per tenerli a bada al di là del confine. Per festeggiare tutta questa grandezza, l’imperatore commissionò un’opera pazzesca: un’armata in terracotta al completo che l’avrebbe accompagnato nell’aldilà – e con tutta la gente che aveva ammazzato male nell’aldiquà, come dargli torto. A oggi, suddivisi in otto fosse, sono in esposizione più o meno 8.000 soldati (di dimensioni variabili a seconda del grado), 130 carri, quasi 700 tra cavalli da tiro e da guerra, e ulteriori statue di figure non militari (funzionari di corte, musicisti, acrobati, barcaioli).
Gli americani l’hanno fatto il tentativo di appropriarsi, cinematograficamente parlando, dell’Esercito di terracotta vecchio di 2.200 anni. Ma per quanto abbia annusato in anticipo (era il 2008) l’importanza di ammiccare al crescente mercato cinese, La Mummia. La tomba dell’imperatore dragone è arrivato un po’ troppo tardi – e oltretutto, per inciso, fa anche un po’ troppo schifo. Hong Kong, infatti, aveva messo le mani sull’Esercito di terracotta già nel 1990, quando una delle più adorabili buonanime di quella leggendaria cinematografia trasformò il mito in storia d’amore che attraversa i millenni e funziona anche da riflessione sul presente.
Quella buonanima è Ching Siu-tung, figlio d’arte (del regista di wuxiapian Cheng Gang) cresciuto letteralmente sul set, nei quartieri che venivano allestiti appositamente per ospitare i famigliari dei membri delle troupe, e passato attraverso la trafila anni 70 da artista marziale/stuntman/coreografo (ruolo che poi ha ricoperto nelle produzioni di Hero e La foresta dei pugnali volanti) prima di debuttare come regista e srotolare una carriera mica male (la trilogia Storia di fantasmi cinesi, The Raid: Redenzione insieme a Tsui Hark, Executioners insieme a Johnnie To).
Le cronache riportano che a Ching Siu-tung si sia chiusa una vena dopo aver visto nel 1987 L’ultimo Imperatore: voleva assolutamente replicare a quel film decadente sul declino e sulla triste morte dell’impero cinese con un’opera epica (ma onesta) sul dialogo fra passato glorioso e presente incerto; dialogo reinterpretato da uno che certe cose le aveva vissute sulla pelle.
Nasce il progetto di A Terracotta Warrior, conosciuto sul mercato internazionale anche come Fight and Love with a Terracotta Warrior, uno dei film con la coppia di protagonisti più strana del cinema di Hong Kong: nei panni del guerriero volante immortale troviamo Zhang Yimou, ovvero l’unico regista cinese che conosciamo in occidente (e che all’epoca aveva già firmato un capolavoro come Sorgo rosso); mentre nel ruolo del suo grande amore reincarnato brilla la futura super diva extra lusso Gong Li, che di lì a poco (nel ‘92) sarebbe stata premiata con la Coppa Volpi a Venezia per La storia di Qiu Ju (diretto da, avete indovinato, Zhang Yimou).
Il film racconta la storia di Meng Tianfang: valoroso generale dell’imperatore Qin fedelissimo al trono, ma mica tanto convinto della stabilità mentale del sovrano, tutto preso com’è a sacrificare vergini e schiavi alla ricerca della formula per l’elisir di lunga vita. Come se non bastasse, Tianfang si innamora (ricambiato anzichenò) di una concubina dell’imperatore, Dong’er. Scoperti e catturati, i due amanti vengono condannati a morte. All’ex generale spetta una sorte particolarmente gloriosa: essere sommerso dall’argilla e diventare una delle migliaia di statue che difenderanno Qin Shi Huang nell’aldilà. Alcune vicissitudini, però, rendono Tianfang immortale. Il guerriero viene risvegliato negli anni 30 del 900 da Zhu Li, attrice misconosciuta che scopre per caso i resti dell’Esercito – ed è anche l’inconsapevole reincarnazione di Dong’er. Riusciranno i nostri eroi a sopravvivere ad acrobazie degne di Spielberg e King Hu, evitando le insidie di truffatori e predatori di siti archeologici per arrivare a coronare il loro luuungo sogno d’amore? Se guardi qua sotto lo scopri, e in più ti ritagli anche un paio d’ore di sollazzo.
Il film
A Terracotta Warrior
Avventura - Hong Kong 1989 - durata 145’
Titolo originale: Qin yong
Regia: Ching Siu-tung
Con Zhang Yimou, Gong Li, Yu Yung Kang, Luk Bung Suk, Cheung Lo
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