Si è da poco festeggiato il cinquantesimo compleanno del Saturday Night Live, che ha regalato una lunga serata molto divertente dalla quale abbiamo tratto la conclusione che, per il momento, Ryan Reynolds e Blake Lively fanno ancora parte del mondo dello spettacolo. Siccome al mondo ci sono un bel po’ di nazioni che esistono da meno tempo di SNL, è normale che la creatura di Lorne Michaels abbia sviluppato un suo linguaggio vernacolare e una serie di codici unici. Nell’ambito del più importante sketch show del mondo (nonché l’unico trasmesso dal vivo), per esempio, diventa centrale il concetto di uscire dal personaggio nel corso della scenetta (breaking character - abbreviato anche solo in breaking).

Talvolta, come confermato da innumerevoli membri del cast, la rottura della sospensione diventa una strategia consapevole – l’ultima spiaggia – per tentare di salvare uno sketch accolto tiepidamente. In tutti gli altri casi è un’eruzione spontanea quando non si riesce proprio a trattenersi dallo scoppiare a ridere nel momento sbagliato. Oggi, per festeggiare in ritardo 50 anni di SNL, vi parliamo della figura più aliena mai calata all’interno degli studi NBC di New York. Oggi vi parliamo di Kate McKinnon, che non ha mai mancato di mettere nei guai colleghi e ospiti facendoli sghignazzare nei momenti peggiori grazie a una comicità fuori dal comune, fatta di osservazione che si mescola allo slapstick e dà il colpo fatale con due enormi occhioni sbrilluccicanti da folletto lesbico che ti guardano come a sfidarti: dai, prova a non ridere. Dai. Provaci. Vediamo. Non ci riesci eeeh.

Proprio per la sua capacità di scovare i pattern comici che la circondano e di esplorare lo spazio fisico dell’umorismo oltre ogni limite, McKinnon è anche un’imitatrice quasi impareggiabile: ha creato parodie più originali dell’originale per Justin Bieber, Ellen DeGeneres, Hillary Clinton, Jane Lynch, Rudy Giuliani e decine di altri personaggi che filtrati da lei diventano memorabili maschere comiche. Ancora più interessanti ed esilaranti, tuttavia, sono i personaggi di fantasia che McKinnon ha creato e interpretato nei suoi 10 anni di Saturday Night Live. Tra quelli che non partecipano agli sketch, ma solo al segmento del fino telegiornale (Weekend Update) in un duetto comico con il presentatore, il più incredibile è quello di Olya Povlatsky, disperata abitante di un piccolo villaggio russo – talmente depresso che la gente si mette in fila per niente in particolare, solo per poter passare il tempo facendo qualcosa di più divertente del solito – che sogna quel bellissimo momento in cui una tragedia la solleverà dalla sofferente incombenza del vivere.

Il personaggio che ha spezzato più spiriti e in maniera più clamorosa, però, è quello di Colleen Rafferty, con cui McKinnon è sempre riuscita a dare il meglio di sé. Classe 1984, la comica newyorchese (di Long Island) ha mosso i primi passi nell’intrattenimento in un’epoca cui il coming out di personaggi pubblici omosessuali e l’orgoglio gay e lesbico non erano la norma. Anzi. Da sempre apertamente lesbica, McKinnon non ha mai nascosto di essersi costantemente sentita un corpo estraneo – quasi sbagliato in quello show business che rifletteva una società al meglio ipocrita e al peggio repressiva – e tutte queste sensazioni è riuscita a incanalarle nel suo linguaggio comico. Colleen Rafferty è un trionfo di autodeprecazione senza vittimismo. È l’amica buzzurra e iellata del gruppo che racconta la sua esperienza con un rapimento alieno; ma se i suoi due compari hanno vissuto un viaggio mistico di apertura mentale ed emozionante contatto con il divino, lei invece è stata sottoposta alle più umilianti ispezioni intime eseguite dagli extraterrestri più stupidi in circolazione. E comunque, per quel che può ricordarsi, non è stato nemmeno il suo peggior mercoledì.

Se Colleen Rafferty è la sintesi perfetta della comicità di McKinnon, ci sono almeno due personaggi che rappresentano al meglio le sue caratteristiche prese singolarmente. Sheila Sovage è una perla rara di comicità fisica che, invece di puntare alla farsa come succede normalmente con lo slapstick, vuole cercare di mettere più a disagio possibile lo spettatore, ma va talmente oltre da diventare esilarante. Sovage è un’esperta rimorchiatrice da bar, che quando fa serata non ha intenzione di tornarsene a casa da sola; a costo di accoppiarsi con l’ultima persona rimasta nel locale, anche se fra loro c’è solo comunione di disperazione e non alchimia sessuale. Uno dei risultati più degni di nota scaturiti da queste interazioni sbagliate è Adam Sandler che mulina la lingua nella narice di McKinnon mentre Kristen Wiig spaghetta con entrambi come Lilli e il Vagabondo.

L’inarrivabile cariatide Debette Goldry, infine, è probabilmente il capolavoro di McKinnon. Una stella dell’Età dell’oro di Hollywood, protagonista di più di 300 pellicole, che è stata rispolverata dai panel culturali progressisti per discutere, insieme ad altre colleghe in attività, dei problemi di ineguaglianza e sessismo che ogni giorno le donne devono affrontare e che finalmente si sentono libere di denunciare. Ma Goldry arriva da una generazione in cui il patriarcato era al primo posto del paniere ISTAT e dunque è normale che ai suoi tempi le attrici venissero inserite nel budget alla voce “attrezzeria” e fossero costrette ad assumere arsenico per avere la pelle più brillante. Debette è lo stupendo apice di un umorismo impegnato ma giocoso, che si prende poco sul serio ma che fa sempre le cose come si deve.

Autore

Nicola Cupperi

Scrive per Film Tv perché gliel'ha consigliato il dottore. Nel tempo libero fa la scenografia mobile. Il suo spirito guida è un orso grigio con le fattezze di Takeshi Kitano.