L’orrore gelido e bianco di Lamb

In Islanda ha sbancato il box-office ed è stato premiato per l’originalità al 74° Festival di Cannes dove è stato presentato nella sezione Un certain regard e, come miglior film, miglior regista emergente e miglior attrice (Noomi Rapace) al Sitges – Catalonian International Film Festival. Lamb, che vede la presenza di Béla Tarr tra i produttori esecutivi, negli Stati Uniti è già diventato un cult ed è stato distribuito dalla A24 che ha lanciato altri cineasti-horror come Robert Eggers (The Witch) e Ari Aster (Hereditary. Le radici del male).

Il film racconta la storia di una coppia, Maria (Noomi Rapace) e Ingvar (Hilmir Snær Guðnason), allevatori in una fattoria remota, in Islanda. Intorno a loro solo colline fredde, umidità e pecore. Una di queste pecore partorisce una creatura anomala che la coppia comincia a coccolare e crescere come un normale bambino. Sarà un’allucinazione? Oppure è tutto terribilmente reale? Di questo affascinante horror metafisico abbiamo incontrato il regista Valdimar Jóhannsson, qui al suo primo lungometraggio.

Da quanto tempo hai pensato a Lamb?
Quasi troppo tempo in effetti. Tutto è cominciato nel 2009 con il mio collaboratore Sean. Ma anche prima di allora avevo iniziato a immaginarmi la storia con dei disegni per creare il mood del film.

Che lavoro c’è stato con i protagonisti Noomi Rapace e Hilmir Snær Guðnason nella costruzione dei personaggi?
Lavorare con il cast è stato come un lungo dibattito. Non abbiamo fatto nessuna prova prima di girare quindi le scene sono uscite fuori in maniera molto naturale. Però abbiamo fatto molti incontri e parlato molto per far emergere le caratteristiche dei personaggi che si sono evoluti progressivamente dopo averne discusso a lungo. È stato il risultato di un complesso lavoro di squadra.

La creatura, Ada, è un’idea originale o ispirato, per esempio, a un libro o un dipinto?
Forse si, mi sono ispirato a qualcosa. Ma ho tirato fuori il personaggio di Ada con i miei disegni. Ho visto figure simili, ma lei è veramente originale. Probabilmente è nata nella mia immaginazione perché ho trascorso parte della mia infanzia insieme agli agnelli nella fattoria dei miei nonni. Poi mi piacciono molto le storie di mitologia, con i personaggi umani con le teste di animali.

Dopo il grande successo al box-office in patria, negli Stati Uniti il film è distribuito da A24. Stai pensando all’idea di un remake americano?
Sarebbe bello poter realizzare un’altra versione di questo film in lingua inglese ma non so se è necessaria. Sarebbe però meglio che sia realizzato da un altro regista proprio perché gli animali negli Stati Uniti sono molto diversi da quelli che conosco io in Islanda.

È un horror con dei colori molto chiari che fa pensare per esempio a Midsommar di Ari Aster. Da un punto di vista visivo, quali sono i tuoi modelli cinematografici per Lamb?
Abbiamo deciso fin dall’inizio di fare un film pieno di luce. Non ci interessava terrorizzare lo spettatore con il buio ma il nostro obiettivo era renderlo più vero anche con il chiarore del giorno. Per me è più spaventoso quando si può vedere quello che sta accadendo e i protagonisti possono essere visti. Poi tante scene le abbiamo anche girate durante la notte.

Qual è il film della tua vita che ti ha spinto a diventare regista?
Ci sono due film che guardo molto spesso. Uno è The Turin Horse che forse mi è capitato di vedere anche due volte a settimana e l’altro è Il grande Lebowski.

IL FILM