Dunque, lo individuano così. Il serial killer John Doe intendo. L’FBI controlla chi nelle biblioteche chiede libri sensibili, per esempio il Mein Kampf, sia mai che il lettore diventi un deviato terrorista. E della lista dei testi a rischio fanno parte Paradiso perduto di Milton e la Commedia di Dante. Proprio così. Se li chiedi e li porti a casa per leggerli sei automaticamente “attenzionato”.
Il detective Somerset (Morgan Freeman), sette giorni alla pensione, lo sa e paga un collega del Bureau affinché gli passi una lista degli attenzionati. «Ma è legale?» gli chiede il giovane collega Mills (Brad Pitt). «Legale, illegale, che termini obsoleti», la risposta. È uno dei passaggi cruciali del film, che ragiona - come poi molto spesso il cinema del regista David Fincher, allora solo al secondo lungometraggio dopo una lunga gavetta con spot e videoclip - sullo sguardo morale. Bene e male, giusto e sbagliato, al di sopra o al di sotto della legge che è comunque istituzione umana e può sbagliare.
Seven (o Se7en) riflette sull’uomo attraverso strumenti narrativi e cinematografici straordinari, ancora d’avanguardia a oltre 25 anni dall’uscita nelle sale. Perché Dante? Perché la Commedia è uno dei testi ai quali torna continuamente il serial killer impersonato da Kevin Spacey (ma ho scoperto l’iniziale stupefacente intuizione di Fincher che voleva per il ruolo Michael Stipe dei R.E.M.).
Questo signore che si chiama come il defunto ignoto (nella pratica forense anglosassone i cadaveri non identificati vengono definiti “John Doe”), quindi è uno nessuno e centomila, colpisce i simboli dei sette peccati capitali - gola, avarizia, accidia, invidia, ira, superbia e lussuria - rifacendosi alle cornici del Purgatorio di Dante e riportando i peccati stessi alla loro “etimologia filosofica”, che non è quella del male assoluto ma dell’amore mal riposto o mal diretto. Geniale, no? L’idea è dello sceneggiatore Andrew Kevin Walker che scrisse il copione pensando alla solitudine nichilista urbana provocata da New York, ma il film è girato in una città mai nominata che in verità è Los Angeles, già distopica come quella di Blade Runner, dove piove sempre, fa freddo oppure caldissimo per l’insopportabile umidità e si procede inesorabilmente verso l’abisso.
La lunga scena d’azione centrale è un inseguimento dall’alto verso il basso seguendo ogni tipo di scale; quello che sembra l’atto finale del killer (lussuria) ha luogo in un orrido postribolo sotterraneo in confronto al quale l’Ade pare un Club Med. Stupefacente il lavoro del direttore della fotografia franco-iraniano Darius Khondji che aumenta i toni cupi e rende fuligginosa persino la luce, permettendo tra l’altro alla pellicola di essere esteticamente modernissima anche oggi.
Ma il film è bellissimo per altri cento motivi. Dalla figura quasi western di Somerset (il serramanico contro il bersaglio sulla porta, come Doc Holliday) a Mills, eccellente Brad Pitt che fu decisivo nell’assicurare a Fincher il final cut (la produzione non voleva la scena della testa nel cartone).
C’è una cosa stupenda nel rapporto tra i due detective sfuggita all’epoca ma oggi evidente in tutta la sua importanza. Quando Somerset e Mills entrano nella casa-antro di John Doe il primo, uomo d’esperienza e cultura, segue la traccia scritta, i diari del killer, mentre il secondo, giovane e istintivo, quella fotografica, le immagini disseminate nelle stanze. Ennesima grande intuizione. La musica di Howard Shore è un innesto cronenberghiano ma il pasto nudo non finisce qui, perché sui titoli di coda che scorrono al contrario risuona The Hearts Filthy Lesson di David Bowie, dal coevo concept album Outside la cui vicenda sembra intrecciarsi a quella del film (per non parlare del videoclip del brano, regia di Samuel Bayer).
Il film
Seven
Thriller - USA 1995 - durata 127’
Titolo originale: Seven
Regia: David Fincher
Con Brad Pitt, Morgan Freeman, Kevin Spacey, Gwyneth Paltrow
in streaming: su Infinity Selection Amazon Channel Infinity+
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