Il cinema ha sempre trovato nelle figure materne un fertile terreno di esplorazione emotiva e narrativa, ma poche pellicole osano tratteggiare un ritratto tanto sfaccettato e travolgente come il film C’era una volta mia madre, dal 22 maggio al cinema per BiM. Diretto con maestria da Ken Scott e tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Roland Perez, il film C’era una volta mia madre racconta la storia straordinaria di Esther, una madre fuori dagli schemi, una donna che non conosce limiti, capace di illuminare qualsiasi stanza con la sua sola presenza. Tra commedia e dramma, il lungometraggio si snoda lungo decenni, portando lo spettatore in un viaggio ricco di emozioni e umanità.
Esther: un personaggio larger than life
Esther (interpretata da Leïla Bekhti) non è una madre qualunque. È eccentrica, irresistibile, insopportabile, manipolatrice e incredibilmente generosa. Un concentrato di opposti che la rendono un personaggio incredibilmente autentico. Esther è la personificazione di un’energia incontenibile: non ha paura di nulla, osa tutto, infrange ogni regola con una naturalezza disarmante. Il suo amore per i figli è sconfinato, ma mai convenzionale. Esther non è solo una madre; è un vortice di passione per la vita, un’esplosione di umanità che trasforma ogni sfida in una battaglia epica. Come afferma Leïla Bekhti: “Le mamme sono dei supereroi senza mantello. Una madre convinta è inarrestabile”.
Il suo rapporto con il figlio Roland, interpretato da Jonathan Cohen, è il cuore pulsante del film C’era una volta mia madre. Roland cresce sotto l’ombra ingombrante di una madre che tutto vede, tutto decide, tutto ama. La loro relazione è un costante tira e molla tra devozione e soffocamento, tra indipendenza e bisogno. Il loro legame, per quanto burrascoso, si nutre di un affetto innegabile che attraversa ogni fase della loro vita.
Un dramma intimo dal respiro epico
Il film C’era una volta mia madre è una commedia drammatica che riesce a bilanciare magistralmente emozione e leggerezza. Tocca temi profondi come il rapporto madre-figlio, la lotta contro le avversità, il valore dell’amore incondizionato e il senso di appartenenza familiare. Pur trattando argomenti delicati, tra cui il tema della disabilità, la narrazione non diventa mai pesante grazie all’esuberanza del personaggio di Esther e alla sensibilità con cui il regista dosa i momenti comici e drammatici.
Ken Scott sottolinea l’importanza dell’equilibrio tra dramma e umorismo: “Amo raccontare storie drammatiche, intensificare la tensione e poi usare la risata come valvola di sfogo, come un’esplosione liberatoria”.
Le influenze cinematografiche di Scott sono evidenti. Come nelle commedie di Billy Wilder, l’umorismo diventa un’arma per affrontare la tensione drammatica. Il film non cerca di strappare lacrime facili, ma riesce a commuovere attraverso una storia autentica e interpretazioni straordinarie.

Un cast eccezionale per un film dal forte impatto emotivo
La scelta del cast si rivela vincente. Leïla Bekhti offre una performance straordinaria, riuscendo a incarnare Esther dai 30 agli 85 anni con una naturalezza impressionante. La sua interpretazione restituisce tutta la complessità del personaggio: la forza, la vulnerabilità, l’amore smisurato per i figli. Il trucco e le protesi aiutano a rendere credibile la sua trasformazione fisica, ma è la sua capacità di trasmettere emozioni che rende il personaggio memorabile.
Jonathan Cohen, noto principalmente per i suoi ruoli comici, sorprende in un’interpretazione che bilancia perfettamente serietà e ironia. Il suo Roland è un uomo segnato dall’infanzia, dal rapporto simbiotico con la madre e dal desiderio di affermarsi come individuo. Al suo fianco, Joséphine Japy nel ruolo di Litzie, Lionel Dray in quello di Maklouf Perez e un ensemble di attori che offrono una prova corale di altissimo livello.
La presenza di Sylvie Vartan nel ruolo di se stessa aggiunge un ulteriore livello di profondità alla storia. Il legame tra la cantante e Roland Perez è autentico, un filo conduttore che attraversa la vita del protagonista. Vartan non è solo una leggenda della musica, ma diventa un simbolo della resilienza e della forza che permeano il film C’era una volta mia madre.
Un inno all’amore materno e alla vita
C’era una volta mia madre non è solo il racconto di una vita straordinaria, ma un inno all’amore materno in tutte le sue sfumature. Non è una storia di perfezione, ma di imperfezioni meravigliose, di relazioni complicate, di errori e redenzioni.
Il film lascia il pubblico con un messaggio potente: la vita non è facile, ma vale la pena viverla pienamente, con tutto il suo carico di gioie e sofferenze. E soprattutto, invita a riflettere sull’importanza dei legami familiari, sull’eredità emotiva che ogni madre lascia ai propri figli.
Come afferma Jonathan Cohen: “Questo film è una dichiarazione d’amore di un figlio a sua madre. Uscendo dalla sala, spero che gli spettatori abbiano voglia di chiamare la loro”. Ed è forse questo il più grande trionfo del film: ricordarci di celebrare coloro che ci hanno donato la vita, nonostante tutte le loro imperfezioni.

Filmografia
C'era una volta mia madre
Commedia - Francia 2025 - durata 102’
Titolo originale: Ma mère, Dieu et Sylvie Vartan
Regia: Ken Scott (II)
Con Leïla Bekhti, Jonathan Cohen, Joséphine Japy, Sylvie Vartan, Jeanne Balibar, Lionel Dray
Al cinema: Uscita in Italia il 30/11/-0001
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