Mentre quelli che guardano il Festival di Sanremo non hanno il beneficio del dubbio – perché tanto, prima degli 80 anni, i loro beniamini da lì non si scollano – gli appassionati di stand-up possono ancora permettersi di fantasticare sui vecchi satrapi del mestiere che per scelta o necessità hanno preso strade meno battute. Per esempio, chissà come sta Craig Ferguson? Lo scozzese Craig Ferguson, a inizio anni 2000, è stato fra i comici protagonisti dell’ultima stagione d’oro dei talk show di seconda e terza serata, quella infiammata dal triangolo Jay Leno-David Letterman-Conan O’Brien. Per dieci anni ha scritto, condotto e in discreta parte improvvisato il The Late Late Show insieme a una spalla robot di nome Geoff. In un’epoca di campioni del genere, Ferguson era un punk gentile che faceva tutto quello che gli passava per la testa, compreso flirtare (con discreto successo) insieme alle sue ospiti. Nel 2014 la parentesi del late night show finisce e Ferguson, pur continuando a lavorare e ad avere successo, non avrà mai più la possibilità di esibirsi su un palcoscenico di quella portata. Al suo posto, CBS ci ha messo James Corden. E questo è tutto ciò che ho imparato su quanto iniqua sia la vita.
Come sta dunque Craig Ferguson? Beh, fisicamente sta come tutti i normodotati che hanno imboccato l’inevitabile strada del declino: se mangia un’insalata di barbabietole deve scriversi un appunto da attaccare al frigorifero, altrimenti la cacca del giorno dopo rischia di diventare un evento tragico. Lo spirito invece è la solita meraviglia friabile da uomo affascinante che dà l’impressione di non aver mai preso nulla sul serio, men che meno il funerale della nonna. Uno che ha solo due regole per quanto riguarda la comicità: “Sii divertente e non essere uno stronzo cazzone”. Che messa così, in effetti, sembra piuttosto facile. Ecco: Ferguson, sin dai tempi del Late night, è sempre sembrato uno di quei comici a cui tutta quella faccenda complicata e faticosa di far ridere la gente viene con grande facilità e naturalezza.

Anche a 62 anni continua a tenersi stretto quel fascino da fanciullo sboccato e irriverente, da folletto burlone scozzese la cui più grande fonte di delizia è dire le parolacce di fronte alle signore impellicciate e ingioiellate. Va in brodo di giuggiole quando riesce a farle arrossire con perifrasi come “spremuta di palle” e il sollazzo raggiunge vette ragguardevoli se può descrivere un pene infetto come “lumaca lebbrosa”. Nel suo ultimo speciale, disponibile gratuitamente su YouTube, Ferguson esordisce con la stessa consumata professionalità di un Troy McClure d’annata, proponendo la sua versione del rocker attempato, che dopo quarant’anni di tour sale su un palco senza avere la minima idea di dove si trovi ma per contratto è comunque costretto a dire che è la miglior serata della sua vita, nella città più bella che abbia mai visitato e deo gratia di fronte al pubblico più incredibile che un artista abbia mai avuto il privilegio di intrattenere sono io che dovrei pagare il biglietto a voi ma invece mi batto il pugno sul cuore e cito il nome della squadra di calcio locale.

Da un lato è consapevole che a 62 anni magnificamente mal portati il suo, ormai, è un pubblico di persone mature che sanno di goccia di pipì sfuggita al controllo e di lenzuoli per soffiarsi il naso profumati alla lavanda. Dall’altro è evidente che la sua faccia di tolla mai doma – nonostante Hollywood si sia girata dall’altra parte – e il suo essere se stesso con testardaggine degna di un kamikaze, siano caratteristiche che gli faranno sempre trovare un pubblico trasversale e di tutte le età. Craig Ferguson è lo zio scapolone che al pranzo di Natale arriva scarmigliato e spettinato, barba incolta e già dignitosamente brillo, risparmiandoci la pena di dover aspettare tutto l’antipasto prima di sentire qualcuno dire qualcosa che fa indignare le anime pie – come sottolineare il fatto scientifico che gli scozzesi protestanti accettano solo di copulare tramite sesso epistolare.

Ferguson è un intrattenitore talmente navigato che quasi non ha bisogno di connettori per tenere insieme il suo set. Passa da un bit all’altro in un flusso di coscienza apparentemente disunito ma tenuto insieme da piccoli richiami, da strutture ripetute e dalla sensazione di stare assistendo all’esilarante attacco di logorrea dell’amico più simpatico della balotta, quello che dopo la terza birra media sale in cattedra e ti racconta perché e per come il mondo è un posto senza senso. Se quell’amico ha più di 60 anni e da una quarantina fa l’outsider del mondo dello spettacolo, poi, facile che i suoi sfoghi abbiano un vago filo conduttore, quello della differenza generazionale tra chi effettivamente comanda (i vecchi-di-merda) e chi interpreta con zelo fin troppo eccessivo lo zeitgeist del progresso (i giovani®). Ferguson non è un VDM, perché i folletti non si fanno tangere da queste cose – e perché, in quanto artista a sé, non ha mai detenuto nessun particolare privilegio cui aggrapparsi come una sanguisuga – e non è nemmeno giovane, ahilui. Quindi è uno che può dire quello che pensa senza particolari timori, con l’unica prerogativa di potersi concentrare sull’essere buffo e scemo, nel miglior senso possibile. Provate voi a sentire uno scozzese pronunciare con accento alsaziano la parola Weltanschauung, poi ne riparliamo.
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