Se vi va di condividere un esempio emblematico di quanto l’industria del k-drama sia un posto del cuore folle e insensato, sappiate che la ricorrente super autrice Kim Eun-sook (già apparsa su queste pagine anche grazie a The Glory) nel 2016 è andata in onda con un k-drama come Goblin, il cui episodio finale è stato visto da un quinto degli spettatori del paese sintonizzati quella sera, a soli sette mesi di distanza dal termine di Descendants of the Sun, serie da due miliardi e mezzo di visualizzazioni in streaming. È come se Petragli e Rulli, nel ‘90, avessero scritto contemporaneamente La piovra 5 e I segreti di Twin Peaks.

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Goblin

Questo significa non solo (o non tanto) che Kim Eun-sook è una specie di essere onnipotente e mitologico a metà tra Shonda Rhimes e Re Mida. Significa, nella pratica, scrivere le sceneggiature di 16 (+16) episodi lunghi più di un’ora e seguire due set impegnativi uno dopo l’altro con la possibilità di dover ripensare i copioni in corsa alla bisogna. Un incubo logistico e creativo soprattutto perché Goblinche trovate su Viki anche sotto il pomposo (e ancor più descrittivo) titolo alternativo di Guardian: The Lonely and Great God – è probabilmente uno degli esempi più riusciti di k-drama che punta tutto sulla capacità di integrare coerentemente in un racconto il maggior numero di registri e generi diversi; sia per dare a ogni tipo di pubblico ciò che vuole, sia per innalzare e movimentare un’impalcatura narrativa in cui i tessuti narrativi sono quasi più fondamentali dello scheletro che le sorregge.

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Goblin

Dentro al suo Goblin, Kim mette praticamente ogni possibile ingrediente televisivo: thriller politico, dramma in costume, cappa e spada, commedia romantica, comico, melodramma, action, fantasy, le storie di fantasmi, il viaggio dell’eroe, il romanzo di formazione, il racconto mitologico, la fiaba, il dramma dickensiano, la sitcom adolescenziale, la sitcom universitaria, la farsa e la tragedia. E utilizza ogni elemento non come accessorio, ma come parte fondante della narrazione di cui ha bisogno in ogni determinata situazione. Eppure c’è un’impronta coerente che unisce la storia di scena in scena, nonostante i cambi di tensione e gli scarti (solo teoricamente) improvvisi. Kim incastra fra loro archetipi della TV coreana e di quella occidentale, giocando con le aspettative di un pubblico abituato pavlovianamente a reagire a certi stimoli.

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Goblin

La storia ha un deus ex machina divino. È lui che crea il Goblin del titolo, che è uno solo – nel senso che non esistono svariati goblin – e non ha niente a che vedere con la tradizione nord-europea degli ometti verdi e tendenzialmente cattivi con una passione sfrenata e criminosa per l’oro. È solo l’adattamento internazionale del dokkaebi, creatura del folklore coreano che ha avuto un sindacato molto più efficace rispetto a quello dei goblin, riuscendo a mantenere una certa buona reputazione nel corso dei secoli. Il dokkaebi non è un essere soprannaturale cattivo, anzi. Al massimo, come tutte le divinità annoiate, è leggermente apatico e menefreghista rispetto alle sorti dell’umanità. Ma provateci voi a vivere per sempre, soprattutto dopo essere stati (in un’altra vita) umani e mortali.

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Goblin

È il destino con cui è costretto a convivere Shin, che nel 1100 e spicci era il migliore e il più fedele fra i generali al servizio del giovane re di Goryeo. Quest’ultimo, manipolato da un eunuco arrivista e sadico, si convince che il generale stia cospirando contro di lui e sia diventato troppo potente. Per questo motivo giustizia sommariamente tutti i servitori e i famigliari di Shin – compresa la sorella, nonché futura regina – davanti al suo sguardo impotente, per poi trafiggerlo a morte con la sua stessa spada. Gli unici fedeli servitori del generale rimasti in vita pregano talmente tanto per il loro padrone da convincere Dio in persona a farlo rivivere come Goblin, allo stesso tempo punendolo per tutte le morti di cui è stato responsabile in vita: Shin non avrà la possibilità di morire e di trovare finalmente la pace finché la donna da lui amata non sarà in grado di vedere la spada che lo trapassa per estrarla.

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Novecento e passa anni di peregrinazioni più tardi, Shin ha sempre la bellissima, giovane faccia di Gong Yoo (il reclutatore di Squid Game) e non ha ancora trovato la sua sposa. Stacco su Ji Eun-tak, diciottenne che mantiene (a malapena) positività e speranza nonostante abbia sempre vissuto una vita seriamente sfigata. Innanzitutto è nata letteralmente per miracolo: una sera del 1998, una donna incinta investita a morte da un pirata della strada invoca un dio qualunque per salvare la bimba nel suo grembo. Il Goblin riceve la preghiera e, nonostante un interesse men che scarso in questa faccenda umana, decide comunque di salvare mamma e figlia.

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Goblin

Con una certa dose di possibile controversia – come succede tutte le volte che questo topos narrativo viene rispolverato – la neonata che nasce quella notte è la promessa sposa di Shin. Da piccola, la bimba rimane orfanella e cresce dotata della capacità di vedere le anime, gli spiriti, i demoni e altre faccende esoteriche varie ed eventuali, ospitata malvolentieri da una zia degna della matrigna di Cenerentola. C’è un problema di base però: nel mondo di Goblin, le anime dei morti vengono raccolte da Cupi mietitori, gente ben vestita costretta a lavorare per l’eternità a causa dei peccati estremi che hanno commesso in vita.

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Goblin

Il Cupo mietitore che avrebbe dovuto collezionare illo tempore la vita di Eun-tak – e che per circostanze perfettamente sensate diventa anche il coinquilino di Shin – non conosce il nome della ragazza perché al momento della sua morte non ne aveva ancora uno. In sostanza Eun-tak non è né viva, né morta. Ma nonostante tutto ha comunque una serie di problemi piuttosto prosaici e tipicamente adolescenziali da risolvere nella vita quotidiana. Kim Eun-sook ci mette ben due episodi ad apparecchiare come si deve il suo potpourri, per poi entrare in una narrazione avvolgente e coinvolgente, che riesce insensatamente a equilibrare tutti gli elementi in gioco senza deragliare. Anzi. Portando a casa alcuni dei twist narrativi più memorabili del k-drama moderno.

Autore

Nicola Cupperi

Scrive per FilmTv perché gliel'ha consigliato il dottore. Nel tempo libero fa la scenografia mobile. Il suo spirito guida è un orso grigio con le fattezze di Takeshi Kitano.