Nel Giappone feudale, una ragazza disperata e peculiare – è bionda, con gli occhi azzurri e molto incinta – sfugge alla pioggia scrosciante e a tarda sera si presenta, trafelata e in preda al panico, in un ryokan cercando rifugio. Purtroppo per lei, l’ultima camera libera è stata occupata dallo Speziale, misterioso venditore di medicine esotiche ed esoteriche che nel tempo libero non disdegna di lavorare anche come sterminatore di mononoke, creature soprannaturali nate da un particolare tipo di spirito maligno che si nutre delle emozioni negative degli umani. I mononoke sono, letteralmente, divinità infuriate e ammalate. E se trovi un tizio ben disposto ad affrontare divinità infuriate e ammalate, faresti meglio a tenertelo buono anche se è conciato come uno dei Kiss travestito da samurai.
Per esibirsi al meglio nel suo pericolosissimo hobby da esorcista, lo Speziale utilizza una speciale spada dotata di vita propria. Prima di poterla sguainare e procedere alla purga, infatti, lo spadaccino deve riconoscere e conoscere il mononoke che sta per estirpare dalla faccia fisica della Terra. Deve individuarne la Forma, ovvero il tipo di spirito e il suo nome, la Verità dietro alle sue intenzioni e il Rimpianto che lo ha portato a incarnarsi in un mononoke. I destini intrecciati che hanno dato Forma al mononoke, la Verità che è lo stato naturale di tutte le cose e il Rimpianto, onnipresente nel cuore degli uomini: può trattarsi di un’anziana locandiera che un tempo gestiva un bordello, costringendo le ragazze sue schiave ad abortire in caso di gravidanza per poter continuare a prostituirsi. O della tragica lussuria travestita d’amore di un fratello – bonzo ma non abbastanza pentito – nei confronti della sorella minore. O ancora di una donna costretta a un matrimonio di convenienza violento, che si è tolta la vita per disperazione. Basta che il genere umano increspi la calma del creato con intensi (e anche inconsci) desideri oscuri, e gli yokai riescono a prosperare e a incarnarsi per vendicare la propria rabbia.
Una volta svelato il mistero, lo spirito demoniaco può finalmente essere esorcizzato chiudendo il cerchio di un’indagine horror che sta tra gli enigmi di Agatha Christie e le stoccate grottesche di Edogawa Ranpo. Ogni caso seguito dallo Speziale, sempre e categoricamente con flemma sardonica, si svolge nell’arco di due o tre episodi, creando una sorta di antologia tematica pittorica di horror tanto grafici quanto psicologici. Lo Speziale è il Caronte sempre uguale a se stesso che accompagna le anime, vive e morte, in una parabola quasi mai di redenzione, ma sicuramente di accettazione. Senza giudicare, ma anche senza mai compatire. Il risultato è una miniserie unica nel suo genere per tutti i migliori motivi, complicati da ripetere con questo stesso stato di grazia.
A un primo impatto, le vie di fuga delle prospettive di Mononoke (disponibile in streaming su Netflix, insieme al film Mononoke il film: Lo spirito nella pioggia) sembrano scombiccherate per il solo gusto di sembrare bizzarre e fuori dagli schemi. In realtà, con l’abitudine e anche dal punto di vista di un occhio inesperto (ci torneremo), sono perfettamente architettate – in concerto con montaggio, scelta delle inquadrature e l’utilizzo di colori accesi e contrastanti – per creare una prospettiva nuova, dinamica, grottescamente deformata, simmetricamente scentrata, che ora opprime e ora allarga a dismisura gli spazi, a seconda delle esigenze della narrazione.
Gli angoli e le geometrie eccentriche degli sfondi, poi, sono riempiti a meraviglia dai personaggi, dotati di un character design vario, molto più arrotondato di quello degli ambienti circostanti ma che allo stesso tempo richiama la spigolosa, morbida bidimensionalità delle stampe artistiche ukiyo-e – più specificatamente delle policromie nishiki-e, entrate in voga nella seconda metà del ‘700. Le grandi onde dell’ingiustamente (ma comprensibilmente) abusato Hokusai, per intenderci. A voler esagerare con un paragone impossibile, ma adatto a noi occidentali per comprendere meglio la portata estetica di Mononoke, potremmo fare l’esercizio fantascientifico di immaginare Paul Verhoeven che dirige un film d’animazione dell’orrore dando vita filologicamente e coerentemente ai quadri di Vincent Van Gogh. Una fantasia ai limiti dello psicotico, che ovviamente i giapponesi sono riusciti a realizzare senza colpo ferire e, stranamente, senza evocare strani demoni.
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