È stata definita più volte, anche su queste pagine, «la serie che meglio ha rappresentato l’esperienza di vivere nell’era Trump». Ma ora che la presidenza Trump è finita, come se la cava The Good Fight? Splendidamente, perché The Donald sarà pure lontano dai social (mainstream) e dal cuore (di chi ancora li usa), ma il trumpismo è qui per restare, un’infezione di proporzioni pandemiche da cui usciremo (se mai ci riusciremo) certamente peggiori.
Nel frattempo e nel corso di cinque stagioni, lo spinoff di The Good Wife - una gioia per chi ama lo specifico televisivo: conserva la struttura episodica e il piglio generalista, ma vivendo su piattaforma (Paramount+ in originale) può imprecare a piacimento, sperimentare e forzare i limiti di quel che mostra e dice - ha attraversato una metamorfosi impercettibile ma sostanziale: gli elementi surreali non sono più incursioni allucinate (e allucinogene) nella realtà, ma è la realtà a essersi trasformata in una versione alterata, assurda, insensata eppure perfettamente verosimile di se stessa.
Il punto è che questa metamorfosi si specchia in noi spettatori: protagonista del principale arco narrativo stagionale è l’irresistibile new entry interpretata da Mandy Patinkin, il giudice Hal Wackner, che non è un vero giudice, ma la sua corte, il tribunale 9 e 3/4 istituito su sua iniziativa nel retro di una copisteria, dove gli avvocati (veri oppure no, non importa) si sfidano ai punti, dove chi dice una plateale idiozia viene messo in ridicolo, dove per evitare pregiudizi di razza, genere e classe si è costretti a indossare costumi pucciosamente animaleschi simili a quelli di Il cantante mascherato, e che a un certo punto - logicamente! - diventa un vero reality show...
La sua corte - dicevamo - attira sempre più attenzioni e successo, sempre più cittadini vi si rivolgono per risolvere “col buonsenso” controversie che la giustizia tradizionale impastoia in lungaggini burocratiche e sofismi incomprensibili, e pure noi - proprio come la tosta Marissa di Sarah Steele, promossa a co-protagonista dopo gli addii al cast di Delroy Lindo e Cush Jumbo - ci scopriamo inavvertitamente a meditare: «Be’, in fondo, perché no?».
Oltre al subdolo contagio del “fascismo divertente” (o tragico: la fiera progressista Diane non esita a servirsi dei propri privilegi per mantenere il potere, l’altra new entry Charmaine Bingwa è una giovane avvocata insidiosamente priva di etica), The Good Fight affronta anche il virus letterale del COVID-19, che nel 2020 aveva obbligato la quarta annata a chiudere prima del tempo: con un espediente geniale ed efficace, la prima puntata della quinta stagione è un unico “previously” di 45 minuti (ovviamente tutto di scene inedite), un riassunto ancora una volta incredibile e preciso dell’irruzione della pandemia, che poi contraddistingue anche la linea narrativa dell’investigatore Jay, portando alla luce le iniquità di un sistema sanitario fallato alla base. La presidenza Trump sarà anche finita, ma il caos no, anzi, continua a gonfiarsi, a effetto valanga, e The Good Fight si tuffa senza remore (anzi, diremmo per paradosso, saggiamente) nella follia del presente. Del resto, il vero matto è quello che si crede immune.
La serie tv
The Good Fight
Poliziesco - USA 2017 - durata 51’
Titolo originale: The Good Fight
Creato da: Michelle King, Robert King, Phil Alden Robinson
Con Christine Baranski, Sarah Steele, Paul Scheer, Scot Teller, John Slattery, Brooks Ashmanskas
in streaming: su Amazon Prime Video Sky Go Now TV Timvision
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