Sul sito del magazine PRAGMATIKA trovo un lungo, dottissimo articolo a firma Konstantin Kovshevatsky dal titolo “Post-privacy e super-trasparenza. Tendenze che hanno cambiato l’architettura moderna”. Pubblicato online nel 2020, il pezzo spiega come l’esigenza architettonica di una trasparenza sempre più estrema – suffragata da una serie di esempi riguardanti alcuni lussuosissimi hotel sparsi per il mondo, i cui bagni permettono a uno spettatore esterno di vedere chiaramente le attività che si svolgono al loro interno – vada di pari passo con il declino della privacy e con la nonchalance con cui permettiamo, per esempio a qualsiasi social network, di accedere ai nostri dati. L’autore riporta la dichiarazione di un professore associato dell’università di Stanford, Michal Kosinski, psicologo computazionale e psicometrico, il quale sostiene che nel futuro, semplicemente, non rimarrà alcuna privacy: “Invece di lasciarsi coinvolgere in un’altra battaglia per la privacy, vale la pena riconoscere che la guerra è già stata persa, ed è meglio prendersi cura del fatto che il mondo diventa un ambiente favorevole per una persona privata della privacy”. “La trasparenza della vita privata e pubblica oggi è l’essenza stessa dell’architettura moderna”, sostiene correttamente Kovshevatsky, “con la sua trasparenza e assenza di gravità, con la sua attrazione per la luce e l’aria negli spazi interni di edifici residenziali e uffici”, per poi concludere “il capitalismo comunicativo, costruito in qualche modo impercettibilmente per noi, ci spinge dolcemente verso un livello inaudito di trasparenza in ogni aspetto della nostra esistenza, restringendo l’area della privacy a una nicchia minuscola, piccola e scomoda. Tutto il resto è pubblico”. Il cinema, quello migliore, il più calato nella contemporaneità, intercetta queste istanze e le fa proprie.
Penso al segmento ambientato nel 2014 di The Beast di Bonello, girato e immaginato come un home invasion movie, per il quale il regista ha dichiarato di essersi ispirato a un grandissimo thriller mai abbastanza ricordato: Quando chiama uno sconosciuto (1979) di Fred Walton. Vediamo le differenti ambientazioni dei due film. Quello di Walton si apre su Jill, la baby sitter che di lì a poco subirà le persecuzioni di un maniaco, che percorre il viale di una tipica strada suburbana statunitense, illuminata da una successione di lampioni. La ragazza raggiunge la casa che ospita i bambini su cui è stata chiamata a vigilare; alla sua destra si vede un’altra abitazione decisamente massiccia, realizzata nello stile noto come Tudor o Tudor Revival.
Quella in cui entra Jill è una classica casa “borghese” a due piani, di cui vedremo l’ingresso, la cucina e soprattutto il soggiorno, stipato di mobili come si usava all’epoca (divani, poltrone, soprammobili, quadri, lampade, a comporre un sistema di arredi quasi soffocante) e con una grande porta a vetri aperta sul giardino: quest’ultima è l’unica finestra che vedremo di quell’appartamento, l’unico elemento capace di mettere in collegamento interni ed esterni oltre alla cornice vetrata che corre attorno alla porta d’ingresso. Se si eccettua la grande porta finestra, l’impressione è quella di un’abitazione sicura, solida, piena di oggetti che la rendono “materica”, “corporea”, illusoriamente sicura (ma il killer che la violerà non si servirà, banalmente, di quella porta a vetri: la riuscita della sua intrusione resterà un mistero).
Nel capolavoro di Bonello seguiamo la protagonista, Gabrielle, nel segmento della Los Angeles odierna, immergersi in una piscina a sfioro dalla forma allungata, ricavata accanto a una villa straordinaria (che, pur plausibilmente losangelina, sorge in realtà nel Sud della Francia), definita da un primo livello di pietre a vista (forse deputato a ospitare spogliatoi o locali di servizio), quindi da un altro livello totalmente vetrato da cui si innalzano dei sottili pilastri utili a sorreggerne un terzo, a sbalzo.
Dicevamo di come la contemporaneità reclami una nuova trasparenza, estrema, sfacciata. Gabrielle si muove in un guscio di vetro e ogni sua azione è platealmente visibile anche dall’esterno, tanto che le attività “insolite” registrate intorno all’edificio sono notate dai vicini e quindi puntualmente riportate al proprietario, il quale telefonerà alla protagonista, ingaggiata proprio in qualità di “home sitter”, per assicurasi che tutto proceda per il meglio. L’appartamento è un loft, non esistono separazioni tra gli ambienti; a suggerire il passaggio tra una zona e la successiva è un paravento composto da una serie di assi di legno affiancate verticalmente una all’altra. Ogni arredo è sottile, esile, quasi incorporeo.
Di questa vulnerabilità sembra d’un tratto accorgersi anche Gabrielle, mostrata in una scena mentre chiude una dopo l’altra tutte le altissime vetrate scorrevoli per cercare un’intimità impossibile, architettonicamente e progettualmente negata. Durante quest’operazione, Bonello la riprende indifferentemente dall’esterno o dall’interno della villa: la differenza è impercettibile. Quando poco dopo vediamo la donna rientrare a casa dopo una notte in giro per locali, i volumi dello stabile sono lì, ritagliati nel buio, bellissimi e indifesi, con gli interni perfettamente a vista. Infatti l’assassino è già penetrato nella proprietà e fuma tranquillamente una sigaretta seduto sul prato.
“Hai una bella casa” le dice la veggente con cui la protagonista si collega online. Per poi aggiungere “sei tutta sola lì, non hai paura?” “No, è tutto serrato” risponde incerta Gabrielle. “Da quello che posso vedere, io ho paura per te”, insiste la presunta chiaroveggente, mentre l’immagine del monitor del computer è alternata con una vista esterna della struttura. Poco prima di essere uccisa, Gabrielle si collega ancora con la cartomante, che le dice “preferisco parlarti da sola, senza che la persona alle tue spalle possa ascoltare”.
Nonostante Bonello aggiorni intelligentemente il grado di trasparenza del suo luogo del crimine, Jill e Gabrielle sono accomunate dal medesimo destino di morte. Quello di Gabrielle, in particolare, smentisce crudelmente le previsioni dello scrittore e disegnatore tedesco Paul Scheerbart – riportate in un articolo di Cesare Cunaccia su lampoonmagazine.com – il quale, rivolgendosi all’allora giovanissimo architetto Bruno Taut, riponeva una sconsiderata (e col senno di poi immotivata) fiducia nel potere della trasparenza: “La superficie della terra sarebbe completamente diversa se l’architettura in mattoni fosse sostituita ovunque con il vetro [...] Le vetrate distruggono l’odio”.
Il film
The Beast
Fantascienza - Francia, Canada 2023 - durata 145’
Titolo originale: La Bête
Regia: Bertrand Bonello
Con Léa Seydoux, George MacKay, Tiffany Hofstetter, Guslagie Malanda, Julia Faure, Philippe Katerine
Al cinema: Uscita in Italia il 21/11/2024
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