Pensate forte alla commedia romantica. Lo so che per molti rischia di essere un dolore, soprattutto sotto Natale quando troneggiano sui palinsesti di ogni latitudine i film per la tv canadesi con due protagonisti assurdi che si innamorano – di solito una light designer di public relation che incontra un vedovo taglialegna modello di intimo in lana, o il principe di un fittizio paese europeo che conosce l’assistente personale del cane di uno stilista. Ma non date la colpa al genere, che quando è in forma può diventare tanto screwball quanto sophisticated, garantendoci discreto sollazzo. Dunque pensate forte alla commedia romantica e concentratevi sullo stereotipo peggiore ad essa associata. Esatto. Avete immaginato un ragazzo e una ragazza che si scontrano camminando per strada e fanno volare per aria un sacco di fogli. Una risma, per la precisione. Ed è esattamente ciò che succede in una delle prime scene di Wedding Impossible (lo trovate su Viki).
Ma invece che essere l’inizio di una rom-com disastrosamente banale – di quelle oltre la soglia limite di sopportazione: neanche in sottofondo dall’altra stanza mentre si curano i fagiolini in cucina – è l’incipit di un’ottima serie che sovverte praticamente tutti i principali archetipi narrativi della commedia romantica in versione K-drama, e oltretutto ci fornisce lo spunto per parlare di una faccenda fondamentale quantunque scivolosa di questi tempi: le serie tv coreane sono sempre state una cosa per donne. Che messa giù così, oggi sembra anche una cosa piuttosto antipatica da dire. Una cosa solo per donne? Non è un po’ sessista? Un tantino limitante? E in ogni caso quand’è che ci siamo messi d’accordo sul concetto di donna? Mi sono persə qualcosa?
Facciamo finta di essere in una società leggermente più rigida per quanto riguarda le definizioni, gli stereotipi e le aspettative di genere rispetto a quella più fluida e inclusiva che stiamo cercando di sviluppare e a cui ci stiamo – con calma eh – abituando. In un contesto del genere, gli sceneggiati televisivi sono da sempre esplicitamente pensati per chi il televisore lo utilizza, ovvero per tutte quelle donne che naturalmente restano a casa a occuparsi del focolare domestico mentre l’uomo si avventura nella natura selvaggia a procacciarsi il salario brandendo una ventiquattrore. Il K-drama è storicamente un genere televisivo scritto da autrici donne per spettatrici che vogliono evadere sull’onda di trame convolute, con al centro protagoniste femminili che hanno posizioni di potere, che sono forti e volitive, e che fanno tutto quello che a loro, le spettatrici, sembra essere precluso. Non basta così poco a sconfiggere uno stereotipo, però. A lungo, gli archetipi di donne potenti nel K-drama medio sono state la suocera ricca e crudele che tenta di convincere la fidanzata del figlio, di origini umili ma determinata, a rinunziare al loro rapporto. Tuttavia, in una sorta di circolo virtuoso (alimentato dalle esigenze di mercato), la rappresentazione delle donne nei K-drama è andata via via migliorando, rispecchiando e alimentando il cambiamento reale nell’avvicinamento ai pari diritti.
Capita ancora, nei K-drama un tanto al chilo, che i personaggi femminili siano meri strumenti narrativi per permettere al protagonista di fare le sue cose da uomo tipo salvare la principessa in pericolo o conquistare il cuore di una regina di ghiaccio. Ma la situazione generale è meglio rispecchiata da serie come Wedding Impossible. In cui una giovane attrice del calibro di Jeon Jong-seo – protagonista di Burning, Mona Lisa and the Blood Moon e Ballerina – accetta di debuttare nel magico magico mondo delle serie tv proprio perché può interpretare il ruolo sfaccettato di una trentenne incastrata in un angolo dal caso, dalla meschinità altrui e dalle sperequazioni di una vita scorretta, ma che nonostante sia in preda a una tempesta del fato, cerca sempre di mantenere il controllo su se stessa e su ciò che è umanamente alla sua portata. Non si mette in un angolo aspettando di essere salvata, anzi. Lei, che nella vita ha un sogno ben preciso e non c’è nulla che possa distrarla o farla desistere (compresi gli innumerevoli fallimenti ingiusti), non ha bisogno di essere traghettata, istruita o protetta. Al massimo, se proprio necessita di un aiutino, se lo procura da sola manipolando la situazione a proprio favore.
Lei si chiama A-jeong e, sin da quando è ragazzina, sa con certezza quasi messianica (e a volte certamente esilarante) che prima o poi diventerà un’attrice di grandissimo successo. Nel mentre che il successo si prende il suo bel tempo per arrivare, A-jeong si arrangia come può e migliora la propria arte performativa recitando anche nella vita, senza disperarsi troppo – abbastanza, ma non troppo. Il ragazzo con cui si scontra per strada gettando in aria la risma di fogli del contratto che lui aveva appena firmato è Ji-han, nipote ultimogenito di un ricchissimo imprenditore alberghiero e, all’insaputa di entrambi, fratello minore del migliore amico di A-jeong sin dai tempi del liceo.
Quest’ultimo, Do-han, è l’altro (vero) protagonista del K-drama ed è un artista omosessuale-bloccato-nello-sgabuzzino che vive da anni a New York, è l’essere umano più adorabile sulla faccia della terra ed è totalmente disinteressato all’eredità del nonno.
Il quale nonno, però, ha ovviamente deciso di lasciare tutto in mano a lui, mettendolo di fronte all’obbligo (per il bene della famigliazienda) di accettare il matrimonio concordato con la tostissima Chae-won, amministratrice delegata del conglomerato Taeyang. Per evitare di sposare qualcuno che stima ma non ama, e soprattutto per risparmiarsi di comunicare la propria omosessualità a una famiglia che non capirebbe, Do-han si rivolge alla migliore amica A-jeong, la cui carriera stagna e non certo per colpa sua. Le propone una quantità di soldi spropositata per recitare nel ruolo di sua moglie per i successivi tre anni. In Wedding Impossible, la coppia per finta che nelle brutte commedie romantiche all’inizio si detesta e poi si ama per sempre nei secoli dei secoli, qui è una coppia vera di migliori amici che non fingono di amarsi, ma non hanno ancora trovato il modo di poter essere realmente se stessi l’uno con l’altra.
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