Non so se avete notato – o se ve lo ricorda di continuo l’amica Cassandra già in fibrillazione per la Terza guerra mondiale – ma Donald Trump ha vinto di nuovo le elezioni, stavolta portandosi a casa tutte le maggioranze possibili, compreso il voto popolare, e aiutatemi a dire SilvioBerlusconiX100 senza farmi piangere. Non farò finta di saperne più di voi di elezioni presidenziali statunitensi, e non mi metterò di certo a cialtronare sui perché e i per come socio-economici-politici che fanno assomigliare il mondo sempre di più a una distopia fantascientifica. Ma posso indicarvi una faccenda che ha contraddistinto la campagna elettorale di Trump e che forse ha fatto una certa differenza: il bis-presidente degli USA è stato ospite dei podcast ultra seguiti di comici ronin e disallineati come Joe Rogan, Theo Von o Andrew Schultz, e ha lasciato che un comico come Tony Hinchcliffe aprisse un suo comizio al Madison Square Garden, creando un putiferio per una battuta – del cazzo, ma con un suo senso e pur sempre una battuta – su Portorico. La spaccatura culturale e sociale che divide gli USA, in altre parole, è arrivata anche ai livelli più alti (ovvero quelli che influenzano) dell’industria dello spettacolo, non più totalmente appannaggio di Hollywood e della tv tradizionale.
Shane Gillis, il comico più in gamba del gruppo (e quello più in grado di farmi cambiare idea su quanto in realtà fosse bravo), pochi mesi fa ha rifiutato l’offerta di Saturday Night Live, che lo voleva come ospite fisso per la sua (eccellente) imitazione di Trump. Negli USA, SNL è come Sanremo e la millefoglie in Italia: ti rovina la salute, ma tendenzialmente non si rifiuta. Anche per non screziare gente importante, di quella che poi ci mette una buona parola. Il fatto che Gillis abbia avuto il coraggio (e i motivi pregressi, ci torneremo) per rifiutare pur rimanendo sulla cresta dell’onda è più unico che raro, ed è l’ennesima prova che, dal punto di vista dell’industria dell’intrattenimento, Austin è davvero diventata un terzo polo in alternativa a Los Angeles e a New York. Il segreto, tutto texano, è sempre quello sin dai tempi del Far West: qui puoi fare quello che ti pare, entra pure a tuo rischio e pericolo sapendo che prima o poi tutti incontrano uno con la pistola più grande della loro e che non prende più gli psicofarmaci perché il servizio sanitario pubblico è una roba da socialisti debosciati. Austin ha accolto tanti di quei comici che, dopo essere cresciuti abbastanza da attirare l’attenzione dei circuiti mediatici tradizionali, sono stati professionalmente ostracizzati dalle pressioni della cultura woke e del farisaismo del virtue signaling. Nel 2019, per dire, Shane Gillis viene assunto al Saturday Night Live e licenziato prima ancora di cominciare a lavorare, investito da uno scandalo su Twitter per aver utilizzato un termine offensivo nei confronti degli asiatici in una puntata del suo podcast risalente all’anno precedente.
C’è tutto un pubblico statunitense, però, che non ha la voglia, il tempo, le possibilità e gli strumenti culturali per convincersi che far licenziare il comico che ha detto “muso giallo” sia un’assoluta priorità sociale per la quale sia necessario mobilitarsi, indignarsi e diventare aggressivi. Soprattutto se a dirglielo, urlandogli che è un coglione omofobo razzista testa di cazzo fascista, è unə adolescente fluidə fruttariano e traboccante di ideali, che non ha ancora lavorato un singolo giorno della sua giovane vita. E tutto quel pubblico statunitense di cui sopra ha comunque bisogno di qualcuno che li faccia ridere senza giudicarli e senza metterli tutti indiscriminatamente nel calderone degli idioti.
Decisamente meglio se quel qualcuno è uno come Shane Gillis, allora, che non è né un complottista anarco-boomer convinto di saperla più lunga di tutti (come Joe Rogan), né un cinico ultra-liberista ansioso di vedere il mondo in fiamme (come Tony Hinchcliffe) e neanche uno di quelli che si nascondono dietro il dito del non-si-può-più-dire-niente per ripetere a voce sempre più alta cose sgradevoli. Gillis vorrebbe solo continuare a scrivere battute che fanno ridere e a far notare idiosincrasie che sono estremamente buffe. La sua è la posa di un comico che porta contenuti considerati offensivi dagli integerrimi, ma che suonano davvero offensivi solo se presi fuori contesto, se estrapolati dal linguaggio del corpo e dall’atteggiamento del performer e se giudicati da persone che non vogliono veramente appianare delle ingiustizie sociali, ma cercano solamente un modo per sentirsi al di sopra degli altri. Sono gli addittanti professionistə. Amici e amiche che scambiano per male incarnato le battute (ben scritte) di un comico che parla in maniera diversa da loro. E all’improvviso (ma mica tanto) Trump si rivela tragicamente come l’unica alternativa culturale espressa dalla politica per dimostrare il proprio dissenso nei confronti di chi scambia il dialogo con la predica moralizzatrice.
Gillis ha l’energia di un ragazzone di provincia che ha giocato a football al liceo e beve davvero un sacco di birre. Dopo il tonfo di SNL, prosegue con la sua attività di podcaster, crea sketch per il suo canale di YouTube e registra due speciali: il primo è online gratuitamente e ha 35 milioni di visualizzazioni, il secondo si trova su Netflix, che ha anche distribuito la sitcom (Tires, già rinnovata per una seconda stagione) che Gillis ha co-creato e co-interpretato. Gillis viene dal cuore della Pennsylvania – esattamente da quei posti dimenticati dal buon dio dove gli esperti dicevano si sarebbero decise le elezioni prima di scoprire di non avere per niente il polso del Paese – ed è figlio di un papà che guarda Fox News. E per lui, che ideologicamente non è né Repubblicano né Democratico, è molto più divertente così. C’è più comicità in un papà che ostia davanti alla tv guardando news sensazionalistiche senza trarne nessuna informazione concreta, piuttosto che in un babbo che a cena si preoccupa delle fonti di energia rinnovabili.
Nel lessico comico di Gillis, il primo tipo di uomo è quello super etero, che odia un sacco la natura per partito preso e che parla solo di cunnilingus e fratturazione idraulica. Il secondo invece è gay, come sono gay tutti gli uomini che si fanno una doccia al giorno e che entrano in libreria per comprare un romanzo.
Gillis scrive battute sul privilegio dei bianchi – “Ce l’ho e lo uso. Sembrerebbe una mancanza di rispetto ancora più grande averlo e non usarlo, no?” – e sul razzismo, dimostrando uno spirito di osservazione non indifferente e una capacità logica ideale per costruire strutture comiche. Come quando, ad esempio, fa notare come il razzismo non è che uno ce l’abbia o non ce l’abbia, come fosse un virus. Essere razzisti è come essere affamati. Adesso, per esempio, non sei affamato, ma più tardi potresti trovarti in tangenziale di ritorno dal lavoro, un cheeseburger che non sa guidare ti taglia la strada a bordo della sua macchina e all’improvviso ti viene fame. In questa battuta, è il vostro cuore naturalmente ricco di stereotipi a scegliere il tipo di cheeseburger da insultare, prima di tornare a fingere di essere vegani per fare bella figura con gli altri.
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