Sono figli di Beniamino Franklin e del teatro off off off, di John Cassavetes e degli esercizi di improvvisazione, cresciuti con una morale quacchera e con Bob Dylan. Sono i ragazzi e le ragazze del mumblecore, un sottogenere di film indipendenti che è andato di moda nei circoli sotterranei dei cinefili giusti per un paio d’anni nella metà dei 2000. Se vi chiedete quali effetti concreti abbia avuto sulla vostra vita, la risposta è: Girls. Era un cinema più che low budget, fondato quasi esclusivamente su dialoghi fitti fitti che parlavano di trentenni in crisi e tendevano a cercare l’imbarazzo della vita vera che il cinema di solito filtra; oltretutto interpretati da attori colti dal sacro fuoco e alla disperata ricerca di un naturalismo massimalista da raggiungersi tramite improvvisazione e ripetizione. In pratica un continuo laboratorio teatrale sublimato dal montaggio e da una minima impalcatura cinematografica.

Mark Duplass
Creep (2014) Mark Duplass

Ovvero, volendo allargare la prospettiva agli esseri umani che quei racconti li creano e li mettono in scena, una vita da artista per davvero all’interno di un’industria che, nel suo circuito commerciale, fatica a premiare qualcosa di diverso e di più spinto a livello di ricerca del linguaggio. Per campare, gli amici del mumblecore hanno avuto tre opzioni: o fare come il padrino del sottogenere Andrew Bujalski (o come Greta Gerwig) e accettare le lusinghe del lato ricco oscuro sceneggiando il remake di Lilli e il vagabondo; o restare per sempre nel circuito indipendente come Lynn Shelton; o diventare spacciatori come Mark Duplass, che è riuscito a mantenere gran parte del proprio metodo anche lavorando in serie tv mainstream come la semi improvvisata The League, o come le due serie tv che ha co-creato con il fratello Jay per HBO (Togetherness e Room 104).

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Togetherness (2015) locandina

Nonostante tutto – gli anni che passano (sono 47) e il tempo speso sui set di ricche produzioni altrui (Zero Dark Thirty, Bombshell - La voce dello scandalo) come attore per pagare il mutuo – Mark Duplass ha comunque trovato il modo di continuare a sperimentare con la modalità di racconto che preferisce. Con un altro partner artistico, Patrick Brice, nel 2014 co-sceneggia e co-interpreta Creep, horror psicologico found footage che è come un parco giochi teorico per Duplass. L’idea è quella di un serial killer insondabile ed enigmatico nonostante la parlantina, senza passato, contesto o motivazioni apparenti, ossessionato non solo dalle uccisioni, ma anche dalla necessità di doverle riprendere per farne dei film che conserva gelosamente. Per riuscirsi, però, ha bisogno di imbastire una messa in scena per attirare una vittima e farle riprendere in prima persona tutta la sceneggiata.

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Creep (2014) locandina

L’assassino senza nome interpretato divinamente da Duplass, è uno dei personaggi più inquietanti nell’horror non soprannaturale recente. Mette a disagio con la sua perfetta capacità di sembrare perfettamente normale e ragionevole, messa al servizio di elaborati e perversi istinti omicidi. Ed è perfetto per un’eventuale lunghissima saga di horror che turbano, in cui ogni nuovo capitolo è un omicidio diverso per il quale il killer crea dinamiche differenti e nuove manipolazioni. Creep 2, nel 2017, è ancora più forte del primo film, ribaltandone l’assunto senza ridicolizzarlo, ma creando spazio per un sottile umorismo che rende i brividi ancora più intensi.

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The Creep Tapes

Ora, per il terzo capitolo, Duplass e Brice hanno bussato al piccolo schermo. The Creep Tapes è un’antologia prodotta e trasmessa da Shudder – servizio di AMC (Breaking Bad, Better Call Saul, Mad Men) dedicato all’horror, alla fantascienza, al fantasy e al thriller – che racconta sei omicidi brevi ideati e perpetrati dal personaggio di Duplass. Il pilota della serie mette subito in chiaro che gli spacciatori del mumblecore non si sono svenduti alla catena di montaggio e non hanno rinunciato al concetto che ha reso interessante Creep e Creep 2, anzi. Duplass, stavolta, apre le danze macabre invitando nella sua baita del bosco un giovane videomaker, Mike. L’ha assunto promettendogli mille dollari e spacciandosi per aspirante attore, bisognoso di un cameraman per registrare un video da mandare alle audizioni. Mentre il killer gioca con Mike mettendolo anche nella posizione di interpretare il suo carnefice in una scenetta ispirata a Misery non deve morire, Duplass e Brice giocano con i piani della rappresentazione, svelando il labile confine tra realtà e finzione, tra messa in scena e documentario. Vertiginoso e stimolante senza essere pretenzioso.

Autore

Nicola Cupperi

Scrive per FilmTv perché gliel'ha consigliato il dottore. Nel tempo libero fa la scenografia mobile. Il suo spirito guida è un orso grigio con le fattezze di Takeshi Kitano.