Il Charley Pearl interpretato da Alec Baldwin in Bella, bionda... e dice sempre sì (in originale più sobriamente The Marrying Man) è il rampollo di una famiglia arricchitasi negli anni Quaranta producendo dentifrici. Lui è bello, bruno e danaroso: per gli amici è semplicemente “un Dio”, come spiega Phil che ne ricostruisce la storia attraverso un lungo flashback. E la casa che nel film gli viene attribuita rispecchia come meglio non potrebbe il suo status e la sua personalità.
La villa appare a circa 50 minuti dall’inizio, stagliandosi con la limpida nettezza geometrica della sua struttura in acciaio, talmente esile, adagiata com’è su un basamento di cemento armato, da dare l’impressione di galleggiare nel vuoto, mentre la sua spettacolare piscina si apre a strapiombo sul panorama losangelino.
Nel living è presente a parete un ritaglio di vetro che lascia intravedere l’azzurro della piscina stessa: gli esterni hanno colonizzato gli interni, e questi ultimi sono spalancati verso l’outdoor quasi senza soluzione di continuità, come da lezione modernista. Un’integrazione tra “fuori” e “dentro” confermata dalla presenza della pietra a vista che definisce il corpo del camino, la cui fiamma è resa visibile da uno schermo vetrato.
Quella in cui vive Charley è la Stahl House, che prende il nome dal suo proprietario, Buck Stahl, il quale nel 1954 acquista un lotto sulle colline di Los Angeles e subito dopo si dedica a incontrare una serie di architetti che fossero in grado di progettare una residenza in luogo reputato dai più non edificabile, mostrando loro un modellino tridimensionale da lui stesso sviluppato e che corrispondeva al suo sogno abitativo. A concretizzarne il potenziale contenuto sarà Pierre Koenig, che accetta l’incarico e si mette all’opera nel maggio del 1959; appena un anno dopo, nel maggio del 1960, l’opera sarà terminata.
Pluripremiata, considerata tra le case più belle della città e immortalata come una diva in un celebre scatto di Julius Shulman, Stahl House – connotata da un funzionale impianto a L che consente di separare agevolmente gli spazi in ambienti privati e collettivi – viene inserita nel programma “Case Study House” (1945-1966) lanciato dalla rivista Arts & Architecture. Per questo progetto, che rimarrà tra i più influenti studi sperimentali sull’architettura residenziale a basso costo mai condotti, il direttore della rivista, John Entenza, coinvolge alcuni tra i maggiori architetti dell’epoca – tra cui, oltre a Koenig, nomi del valore di Charles e Ray Eames, Richard Neutra, Eero Saarinen e Raphael Soriano – chiedendo loro di realizzare abitazioni moderne alla portata dell’americano medio, che fossero facilmente riproducibili e capaci di rispondere da un lato alla contingente carenza di alloggi e dall’altro al boom edilizio del secondo dopoguerra.
Edificate nel distretto di Los Angeles, le 36 case modello (la Stahl House verrà identificata con il numero 22) seguivano delle direttive predefinite, la più importante delle quali era quella che prevedeva “l’utilizzo, nei limiti del possibile, di tecniche e materiali nati dallo sforzo bellico e particolarmente adatti a esprimere la vita dell’uomo nel mondo moderno”. La tesi alla base del progetto di Entenza prevedeva che, partendo da dinamiche produttive inedite (la prefabbricazione, la standardizzazione di talune componenti produttive), potessero generarsi costruzioni capaci di abbattere standard consolidati e che fossero rese uniche dall’intervento del progettista, chiamato a un lavoro quasi da alchimista: coniugare la qualità e la letterale “eccezionalità” delle abitazioni con un prezzo considerato ragionevole.
Realizzata con elementi industriali prefabbricati, in metallo, cemento, vetro e con moduli strutturali in materiali plastici, la Case Study House #22 di Koenig conquisterà da subito l’ambito ruolo di regina del lotto: un alloggio “adatto a esprimere la vita dell’uomo nel mondo moderno”, di rottura rispetto alle lussuose magioni dei capitalisti dell’epoca. Basti vedere le altre residenze mostrate nel film: quella del ricco produttore cinematografico Lew Horner e quella, a Boston, in cui viveva il padre di Charlie prima della sua dipartita.
È un trionfo di statue, grandi vasi, sedie rivestite in pelle, poltrone capitonné, legni scuri, mobili intagliati, tende di broccato... Una pesantezza arredativa che il protagonista soffrirà sulla propria pelle, ereditando lo stabile insieme al patrimonio paterno, e che lo porterà a incupirsi tanto da trascurare la sua splendida moglie. Una ponderosità in flagrante contrasto con la spensieratezza espressa invece dalla Stahl House, quando Vicki Anderson/Kim Basinger rappresenta ancora per Charlie un ideale d’amore, e la sua unica responsabilità consiste nell’organizzare scatenati bachelor party a Las Vegas.
Proprio in virtù di questo perfetto preciso allineamento, di questa plateale identificazione tra quel Charlie e quella casa, il film si permette un innocuo anacronismo, dal momento che le vicende di questa commedia del, anzi dei rimatrimoni, prendono avvio nel 1948, 12 anni prima che il lavoro di Koenig fosse completato. Quella villa rappresentava quindi la speranza di un futuro, non solamente abitativo, migliore: se non proprio per tutti almeno per una fascia ampia della popolazione statunitense.
L’architetto e inventore Richard Buckminster Fuller, inguaribile ottimista che ha sempre concepito la casa come un prodotto prefabbricato e trasportabile, scrisse una volta: “Vedo arrivare una rivoluzione totale, e se è una rivoluzione di sangue l’uomo perderà. Se è una rivoluzione nel design, nell’uso competente ed efficiente delle risorse, allora l’uomo può vincere”. Parafrasando Ionesco, si potrebbe chiudere dicendo che Dio (Charlie) è morto, la rivoluzione nel design pure e anche noi non ci sentiamo molto bene.
Il film
Bella, bionda... e dice sempre sì
Commedia - USA 1991 - durata 117’
Titolo originale: The Marrying Man
Regia: Jerry Rees
Con Kim Basinger, Alec Baldwin, Robert Loggia, Elisabeth Shue, Armand Assante, Paul Reiser
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta