Non so se vi siete accorti che, ultimamente, i ragazzi non stanno tanto bene. A parte che sembrano esserci allo stesso tempo più benessere (=più tempo e spazio mentale per le menate) e più degrado (=più occasioni per fare cazzate), ma in generale non dev’essere divertente crescere al giorno d’oggi e farlo sotto i riflettori di un consesso social che catechizza, giudica, stressa, bullizza e appiattisce. In Giappone il mondo di manga e anime ha reagito al disagio con un sottogenere super specifico di fantasy, lo isekai, in cui i giovani protagonisti vengono scaraventati, lanciati, trasportati, reincarnati o imprigionati in un universo parallelo, con regole diverse dal nostro. Il senso dello isekai – e il motivo del suo successo – è quello di dare ai personaggi una seconda possibilità a costo zero per raddrizzare una vita reale sfigata, ingiusta, isolata, faticosa e ricca di insoddisfazioni. Isekai diventa sinonimo di escapismo allo stato puro, un modo semplice per soddisfare il bisogno di rivalsa di una paio di generazioni di giovani che non si sentono troppo adatti alle dinamiche e alle regole di questo mondo. Ne cercano uno diverso, dove i loro avatar possano avere successo con la stessa semplicità che riesce agli altri; lo isekai glielo consegna e tutti sono distratti nel modo giusto e contenti nel modo sbagliato. Poi, per fortuna, ecco Sonny Boy.
Sonny Boy arriva nel 2021 (da noi si vede su Crunchyroll), è una miniserie anime originale che non è stata tratta da alcun manga e/o romanzo, è creata da Shingo Natsume (fra i registi di Space Dandy) ed è un isekai fatto e finito. Tuttavia, piuttosto che ottenere le rispettive rivincite sulle vecchie vite, dopo essere stati inspiegabilmente trasportati in un universo parallelo i protagonisti di Sonny Boy, una classe di studenti all’ultimo anno delle medie, sono invece costretti a decifrare una realtà allegorica e metafisica, che pone loro problemi filosofici e dinamiche modellate su quelle del mondo da cui provengono. Invece di avere soddisfazione, gli adolescenti scagliati in un mondo nuovo devono mettere insieme uno dopo l’altro i pezzi di quello vecchio, per cercare di comprendere le regole del multiverso e poter sperare di tornare a casa. È un’immagine allegorica dell’adolescenza – simile, come intenti, a quella ritratta in The Tatami Galaxy –, di un periodo di formazione e frammentazione in cui le identità si stanno strutturando e asciugando, in cui il rapporto con l’altro è fondamentale per la concrezione del sé.
Un pezzo di una scuola media si è staccato dalla realtà ed è prima finito in un vuoto avvolto nell’oscurità, poi si è spiaggiato al largo di un’isola, invasa dalla natura selvaggia e circondata da infinite distese di oceano. Dopo il viaggio interdimensionale, alcuni dei ragazzi sviluppano poteri speciali. C’è chi riesce a manipolare la gravità, chi l’elettromagnetismo e chi è in grado di creare qualsiasi oggetto e di consegnarlo con l’aiuto dei suoi gatti. Nagara sembra essere uno dei pochi a non aver ricevuto nessun dono e la cosa non lo turba per niente. Nulla sembra turbare il suo menefreghismo e il suo pessimismo cosmico in realtà, se non le insistenze della volitiva Nozomi, studentessa appena tornata da un’esperienza di studio all’estero che non ha nessun problema a manifestare la propria indipendenza di pensiero e decisioni rispetto al resto del gruppo.
Dopo il balzo nell’ignoto, fra i ragazzi si sviluppano in fretta peripezie da Signore delle mosche. Il gruppo di studenti che ab origine deteneva il mandato di rappresentanza degli adulti vorrebbe subdolamente ricreare una gerarchia ben delineata per riportare un ordine e una disciplina che rispecchino quelle reali. A frustrarli sono anche le individualità dei loro compagni, ma soprattutto la necessità di decodificare le regole del nuovo universo. Sull’isola, ad esempio, i ragazzi scoprono che non possono scambiarsi nulla senza dare qualcosa in cambio, altrimenti l’oggetto che passa di mano prende fuoco; quindi sono costretti a ricreare un sistema consumistico e capitalistico per non rischiare di incendiare l’isola.
Se nella prima parte di stagione la narrazione sembra avere un centro e un obiettivo, pian piano il contatto con la realtà si fa sempre più flebile. Gli stili di animazione si moltiplicano e cambiano da un’inquadratura all’altra. Le puntate diventano vignette tematiche di un arco di formazione simbolico, in cui sono più le domande che vengono poste rispetto alle risposte che si sceglie di fornire.
La musica è praticamente assente dalla colonna sonora, e si fa fatica ad accorgersi di un’assenza così enorme da tanto è ricco il resto dell’offerta cognitiva. Natsume lavora al contempo per ellissi e per accumulo, sia dal punto di vista narrativo che da quello dell’animazione e della messa in scena, ripagando l’attenzione dello spettatore con un’esperienza seriale unica e abbastanza irripetibile, che sublima il concetto di escapismo e lo sconfigge con le sue stesse armi.
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