Una volta tanto, abbandoniamo la proverbiale cautela dei critici seri: Hanno ucciso l’Uomo ragno è una delle migliori serie Sky Original di sempre e, probabilmente, la migliore serie italiana che vedrete (non solo) quest’anno. Intelligentemente la Groenlandia di Matteo Rovere e di Sydney Sibilia ne ha fatto un ulteriore capitolo della singolare controstoria italiana di giovani straordinari che il secondo sta portando avanti dopo L’incredibile storia de L’Isola delle Rose e Mixed by Erry. Anzi, su questo la serie medesima scherza fin dal primo episodio con l’inatteso parallelismo con un giovanissimo Albert Einstein che, un secolo prima di Max Pezzali e Mauro Repetto, si trova a mordere il freno nella morta gora di Pavia.
In fondo, si parva licet, quella degli 883 è stata una piccola grande rivoluzione a base di spleen provinciale e garage music (anzi, tavernetta music) che Sibilia (anche regista dei primi due episodi) e i suoi co-sceneggiatori inscrivono giustamente nella riformattazione giovanile dei media italiani dell’ultimo decennio del secolo scorso, tra radio e tv, capeggiata dalla Radio Deejay di un Claudio Cecchetto (Zibetti, al solito fantastico) un po’ padre padrone un po’ re Mida. Eccola, dunque, una delle chiavi di volta della serie, cioè l’attuale ritorno continuo degli anni 80 e ora anche 90 (già intravisti tra le righe sempre in un altro Sky Original, Un’estate fa), tra nostalgia e storia pop.
Lì in mezzo, Hanno ucciso l’Uomo ragno ci sta da pascià, sia quando passa in rassegna nomi e fenomeni (Jovanotti & Fiorello, Deejay Beach all’Aquafan di Riccione, le ragazze di Non è la Rai) sia quando scherza con fanti e santi, con le licenze poetiche del caso (l’incontro ante litteram di Pezzali con Maria De Filippi, il monologo di Sandy Marton). Però questo repertorio, sempre vivificato da una bella ironia (Alessandro Canino reuccio del Cantagiro con la sua Brutta), non basterebbe a giustificare la riuscita della serie.
Quella di Max e Mauro, infatti, non è solo una storia classica da biopic musicale di ascesa e caduta (la seconda finora solo intravista nell’asimmetria tra i due nelle esibizioni live, nel tempo logorante), ma anche e soprattutto una bellissima bromance platonica tra i due protagonisti, destinati a riconoscersi elettivamente da subito e a completarsi in un equilibrio delicato e precarissimo. Qui la serie dà il suo meglio, grazie a una scrittura molto sofisticata che, oltre a strizzare l’occhio ai classici del teen su grande e piccolo schermo, riesce a reinventarsi sempre episodio dopo episodio (come nel quarto con gli stessi eventi raccontati da tre punti di vista diversi), giocando ironicamente con il ruolo del destino incarnato nel demiurgo inconsapevole Lello (Spagnoletti).
Ma, last but not least, il vero asso nella manica della serie è la straordinaria alchimia tra i due protagonisti, il Max timido e goffo di Elia Nuzzolo (all’esordio, poi anche giovane Mike Bongiorno su Rai1) e il Mauro esuberante e sfacciato di Matteo Oscar Giuggioli (in luce fin da Sotto il sole di Riccione). Max e Mauro, quelli veri, possono andarne fieri, anzi, probabilmente di qui in poi dovranno pure esser loro grati.
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La serie tv
Hanno ucciso l'Uomo Ragno - La leggendaria storia degli 883
Biografico - Italia 2024 - durata 48’
Titolo originale: Hanno ucciso l'Uomo Ragno - La vera storia degli 883
Con Lorenzo McGovern Zaini, Angelo Spagnoletti, Igor Chierici, Pablo Sandstrom, Salvatore D'Onofrio, Roberta Rovelli
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