Vi racconto come funziona il sistema di pregiudizio in una persona che vede troppe serie tv. Leggo di una serie messicana (co-prodotta da HBO e distribuita su max negli Stati Uniti) che si chiama Como agua para chocolate - mi viene in mente che il titolo è un modo di dire dello spagnolo latinoamericano e significa qualcosa tipo “ribollire di passione” - sento che mi sale la febbre perché è già una settimana difficile e non vorrei dover parlare di una soap opera o di un melodramma che si prendono tutti sul serio fino a implodere su se stessi - mi ricordo che l’espressione era diventata celebre anche al di là del Messico grazie a un romanzo (Dolce come il cioccolato) da cui Alfonso Arau a inizio anni 90 aveva tratto un film (Come l’acqua per il cioccolato) scostante ma mica male, pieno di inciampi ma anche di invenzioni - la febbre sparisce miracolosamente e sono pronto a dare fiducia a questo romanzone novecentesco che strizza l’occhio al realismo magico senza spingere esageratamente sull’acceleratore. Un po’ come se fosse un’Amélie messicana ante-litteram, ma meno deficiente e circondata da un mondo in cui le conseguenze sono molto reali.
Basti sapere che è il racconto di una storia antica – quella della prozia della narratrice – e dunque, di per sé, non è né totalmente vera né totalmente falsa. È, come tutte le storie, una collezione di mezze verità, di bugie ben dette e di memorie offuscate. Quindi può essere esagerata e fantasiosa, ma rimane comunque ancorata alla Storia. Prozia Tita nasce nella cittadina di confine Piedras Negras, che in confronto al resto del paese che sta a sud è appena sfiorata dai tumulti politici che infiammano il Messico dal 1908 in avanti. Tita è la terzogenita di una famiglia di possidenti, i de la Garza, ma cresce orfana di padre e con la cinghia leggermente tirata, ben controllata dalla dispotica madre Elena, tedofora delle tradizioni di famiglia che comanda severamente figlie e servitù.
La figlia primogenita Rosaura vive sperando che la madre le dica “brava”, mentre la secondogenita Gertrudis è spensierata, calda e ribelle. Tutte insieme vivono una vita irregimentata ma bucolica, che permette attività molto cinematografiche come gareggiare in mezzo a labirintici campi di mais.
Quando, in mezzo alle pannocchie, la dodicenne Tita si scontra con il coetaneo Pedro Muzquiz, così come il cioccolato si scioglie con il peperoncino essiccato per fare il mole, allo stesso modo le anime dei due ragazzini si uniscono lì e in quel momento. Senza bisogno di parole, si promettono amore eterno.
Tutto questo ammasso di melassa molesta funziona perché riesce a mettere in scena un’allegoria: da giovani, Tita e Pedro sono bellissimi e perfetti, sono l’incarnazione ideale della purezza, della gioia e della speranza. Puliti, prima che la vita si svolga con tutti i suoi inciampi e prima che gli altri succedano intorno a loro, macchiando l’idillio. E allora condividono un ultimo momento di perfezione adolescenziale mangiando i dolcetti fatti in casa e poi pomiciando nella foresta di Instagram al tramonto, annodando nastri di raso, sfiorandosi, sussurrando, ridacchiando e guardandosi intensamente negli occhi. È un attimo che la scena si trasformi nel video di lancio per il catalogo autunnale di Dolce & Gabbana, ma sia il testo di partenza, sia la serie eccellono nell’evitare quel tipo di levigatura eccessiva che separa la ricerca estetica dall’oleografia.
Tanto per cominciare, nei video di Dolce & Gabbana (buon per loro) non c’è la Rivoluzione messicana. Pedro è costretto a lasciare Tita per andare in città a studiare giurisprudenza, dove si unirà al movimento rivoluzionario democratico contro il regime del presidente Porfirio Díaz. Dopo due anni di militanza e dopo essere fortunosamente scampato all’arresto, Pedro torna al paese per aiutare il padre a gestire il ricco ranch di famiglia, ma anche a riprendere il discorso interrotto con Tita.
L’occasione giusta è uno di quei balli in cui la gente che conta va a piazzare i figli con le persone corrette per assicurarsi che il malloppo resti nelle mani giuste. Elena ha dato chiare indicazioni: bisogna maritare la Rosaura prima che diventi materiale da zitella, e se le altre due sorelle dovessero essere invitate a ballare, dovranno gentilmente deviare la proposta verso la primogenita. Mamma Elena sta seguendo alla lettera la tradizione: la figlia più giovane non può essere data in sposa perché si dovrà prendere cura della madre fino a sopraggiunta morte di quest’ultima.
Potrà un amore leggendario come quello di Pedro e Tita, scandito da un impeto per il cibo come fonte di gioia che sconfina in un sacrosanto food porn, sconfiggere sia le tradizioni, sia la guerra civile, sia il rischio di scadere nella retorica più banale di una storia vecchia come il mondo? Ad ammirare l’episodio pilota di Like Water for Chocolate sembra proprio di sì. Il faro, ragionevolmente distante ma comunque in vista, sono i Cent’anni di solitudine di García Márquez spiegati bene a uno statunitense e in grado di riempire gli occhi di immagini sature e ben studiate. Avercene.
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