Al confine tra videoarte e cinema, fra l’installazione Ashes (alla Biennale di Venezia nel 2014), in cui filmava un pescatore di Grenada nel corso di dieci anni, e la serie Small Axe (2020, inedita in Italia), in cui ricostruiva il rapporto fra la città di Londra e gli immigrati caraibici negli anni 70, Steve McQueen ha realizzato con Occupied City uno dei suoi lavori più compiuti. Con un’altra modalità, il cinema d’osservazione; in un’altra città, Amsterdam; in un altro tempo, il presente (all’epoca delle riprese immerso nell’emergenza del COVID-19), il regista inglese ha cercato l’impronta della Storia nello spazio.

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Occupied City (2023) scena

Le ceneri di un passato che la memoria (e dunque la ricerca, lo studio, la toponomastica, la creazione di lapidi e pietre d’inciampo) non cancellerà mai, ma che l’evoluzione del tessuto urbano ha già ampiamente (e inevitabilmente e anche giustamente) superato. All’origine del film c’è un libro, Atlas of an Occupied City: Amsterdam 1940-1945 di Bianca Stigter (2019), il cui intento è quello di mappare la capitale olandese rintracciando luogo, data, ora e vittime dei crimini compiuti da nazisti durante l’occupazione. Passando dal testo all’immagine, McQueen non ha cambiato impostazione e ha filmato con camera fissa i luoghi individuati dalla ricercatrice (vie, piazze, case, angoli di strada, ponti, chiese, mercati, giardini, finestre, locali) usando la voce narrante per far conoscere il contesto e la vicenda che li caratterizza.

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Occupied City (2023) scena

Se la spiegazione del passato è espressa dalle parole riprese dalla pagina scritta, la sua percezione e permanenza rimane impigliata nelle lunghe inquadrature di cui il film è composto, risvegliata dall’operazione storiografica e cinematografica eppure muta, inespressiva, così vicina e insieme così lontana. Nelle scene senza voce narrante, in cui McQueen filma semplicemente la città, l’ombra del passato lascia poi il posto agli eventi del presente per dare vita sullo schermo a qualcosa di molto simile a un passaggio di testimone.

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Occupied City (2023) scena

Il racconto dell’orrore nazista è infatti sostituito da eventi che semplicemente accadono (i lavori di scavo di una via, una manifestazione di protesta contro le restrizioni imposte dal COVID-19, adulti e bambini che si divertono sulla neve, opposte proteste di gruppi d’estrema destra ed estrema sinistra) e dove la Storia documentata lascia il posto alla banalità del quotidiano, pronta a trasformare un evento in fatto significativo e uno scorcio di città in un luogo da ricordare.

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Occupied City (2023) scena

Lavorando sulla ripetizione e sulla dilatazione (il film dura più di quattro ore, e forse più corto non avrebbe lo stesso impatto), McQueen si domanda dunque come le immagini possano avere una funzione documentaria oltre la loro semplice significazione. E come, più a fondo, le operazioni di scrittura di un film, di assemblaggio del suo materiale e di realizzazione delle sue immagini (sapendo bene che ogni inquadratura, anche la più banale e realista, è sempre frutto di una messa in scena), possano funzionare come strumenti d’archiviazione e conoscenza.

Autore

Roberto Manassero

Roberto Manassero lavora come selezionatore al Torino Film Festival, è capo-redattore del sito www.cineforum.it e collaboratore delle riviste Film Tv e Doppiozero. Ha scritto un libro su P.T. Anderson, uno su Hitchcock e uno sul melodramma hollywoodiano. Tra i curatori del programma del Circolo dei lettori di Novara, tiene lezioni di cinema in scuole, musei e associazioni cultura.

Il film

locandina Occupied City

Occupied City

Documentario - Regno Unito, Olanda 2023 - durata 262’

Titolo originale: Occupied City

Regia: Steve McQueen (I)

in streaming: su MUBI Amazon Channel MUBI