Il 13 luglio del 2002, B. B. King – forse il più grande chitarrista mai esistito, sicuramente un musicista trascendentale – dopo essersi esibito nei migliori teatri del mondo per quasi 50 anni di onorata carriera, accetta di tenere un concerto nel giardino del parco acquatico di Caldiero, paesello di ottomila abitanti a una manciata di chilometri da Verona, la cui intera provincia ha meno abitanti del numero di biglietti staccati da King in mezza tournée. Dopo aver visto l’episodio pilota di The Franchise – commedia HBO creata dallo showrunner esordiente Jon Brown, ma battezzata da Armando Iannucci (produttore) e Sam Mendes (regista della prima puntata e co-soggettista) – l’emozione è la stessa dei gestori di quel parco acquatico. In che senso B. B. King viene a suonare da noi? Solo che qui il senso di incredulità è chiaramente un altro: stanno davvero facendo Boris ambientato sul set di un blockbuster di supereroi e scritto da uno degli sceneggiatori di Succession?
Io non dico che Jon Brown abbia visto Boris su Disney+ e si sia detto “rifacciamolo, ma invece di prendere in giro la Rai facciamo satira sulla Marvel”, perché sembra davvero un’idea fuori dai gangheri. Le note sono solo sette e a volte capita di scrivere la stessa melodia. Però The Franchise è per davvero Boris sui set iper-tecnologici dei Pinewood Studios invece che fra gli sgangherati teatri di posa della periferia romana, con buchi di budget milionari invece degli straordinari d’aprile, ma con la stessa sindrome di Stoccolma che lega le maestranze a un lavoro ingrato, con gli stessi attori fuori di testa che fanno i capricci, con la stessa quantità di viscida ingerenza da parte dei piani alti e un simile spirito prosaico nel tentare di portarsi a casa ogni singola giornata, risolvendo la maggior parte dei problemi smarmellando.
Anche se lavorano sul set della più lussuosa produzione hollywoodiana, anche se frequentano quotidianamente il dietro le quinte della fabbrica dei sogni, dei teatri da posa dove nasce la magia, comunque i pedoni devono arrivare presto alla mattina, passare i tornelli di sicurezza e timbrare il cartellino. Al centro del turbinio c’è il primo assistente alla regia Daniel Kumar, che per conto del regista artistoide Eric (“Voglio che cammini con stile ma anche in maniera ansiosa, come una pantera che va a un colloquio di lavoro”) deve rispondere di ogni questione pratica posta da ogni reparto, dirigerli in ogni singola decisione e fare tutto il più contemporaneamente possibile – compreso annunciare un possibile incendio sul set, rispondere al telefono alla madre, calmare una comparsa vestita da uomo pesce con un discorso motivazionale generico e interrompere in maniera creativa uno degli attori ogni volta che sta per terminare una barzelletta che farebbe comparire all’istante un plotone della polizia morale per chiudere la produzione. D’altronde, sono solo altri 83 giorni tutti così e poi le riprese saranno finalmente concluse. Assaporiamo ogni fantastico momento, suggerisce sarcasticamente Daniel a Dag, la nuova terza assistente che ha appena cominciato il suo primo giorno di lavoro.
I tre minuti di incipit in piano sequenza – non dissimili dalla prima sequenza di Boris – lasciano il posto al titolo e a una didascalia: siamo al 34° giorno di riprese sui 117 previsti dal piano di produzione. Eric, interpretato da Daniel Brühl, è il tipico cineasta impegnato tedesco strano, serio e con un Pardo d’Oro in saccoccia – uno che cambia la sceneggiatura in corso d’opera prendendo appunti sul palmo della mano e facendoli trascrivere su carta alla seconda assistente – prestato al più grande franchise cinematografico di supereroi del mondo per dirigere il film di raccordo Tecto.
Alle spalle della pellicola c’è la più pantagruelica macchina produttiva e burocratica del mondo del cinema, che è molto contenta di aver un genio alla regia e per lui ha solo un consiglio: basta che la fotografia non sia troppo scura, sennò la gente non vede. Ma questo vorrebbe dire compromettere la visione artistica di Eric, uno che non si fa problemi a spendere milioni per importare 60 alberi di ciliegio da Kyoto per poi tagliarli dalla sceneggiatura, figuriamoci se ha paura di contraddire i dirigenti. Daniel, che ha l’imperturbabilità, lo stoicismo e le capacità di improvvisazione giuste per trattare con un pallone gonfiato del genere, ci tiene a non perdere il lavoro e riesce a convincerlo in qualche modo a rendere più luminosa la scena degli uomini pesce che oggi gireranno mentre un rappresentante dello studio è presente sul set.
Nel frattempo c’è Richard E. Grant, il Corrado Guzzanti della situazione, che interpreta il cattivo del film e scalda la voce prima della sua scena con lo scioglilingua “Il fantino genocida balla gentilmente un tip tap passando a fianco della bara del neonato” (indovinate chi è l’attore a cui è vietato raccontare barzellette sul set). Egli non può urlare più di tanto quando recita perché ha i polipi in gola. Sapete com’è, succede quando nella vita hai fatto troppo troppo teatro. Il film di punta dell’universo cinematografico Maximum, il cosiddetto tentpole, è Centurios 2: Chrontinuum Begins, che in ordine cronologico viene direttamente prima rispetto Tecto, è in fase avanzata di riprese ed è appena stato modificato per includere il drammatico e super cazzuto genocidio degli uomini pesce. Il film di Eric, già in ritardo e oltre al budget previsto, deve essere modificato radicalmente con l’aiuto di una nuova produttrice, l’ex fidanzata di Daniel.
A qualcuno, nel pilota di The Franchise, potrà sembrare di notare un certo livello di snobismo nei confronti dei cinecomic in sé. Ma la verità è che l’occhio satirico del primo episodio – e, presumibilmente, dell’intera serie – è puntato dritto sul circo produttivo che si agita alle spalle della macchina da presa. Getta luce in maniera ironica sulla necessità aziendale di dover trattare un’opera collettiva di creatività com’è un film alla stregua di un prodotto unicamente votato al profitto, da assemblare con la stessa funzionalità con cui una catena di montaggio sforna friggitrici ad aria. È la magia di lavorare nel mondo dello show business bellezza, d’altronde i sogni non si pagano da soli.
La serie tv
The Franchise (2024)
Commedia - USA, Gran Bretagna 2024 - durata 27’
Titolo originale: The Franchise (2024)
Creato da: Jon Brown, Armando Iannucci, Sam Mendes
Con Katherine Waterston, Jon Brown, Justin Edwards, Waleed Akhtar, Billy Magnussen, Nick Kroll
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