È il vertice della triangolata gioventù bruciante di Alain Parroni in Una sterminata domenica, suo debutto da co-protagonista che si irradierà poi nel one boy show di Il mio compleanno di Christian Filippi, presentato alla Mostra di Venezia n. 81 (Biennale College) insieme a Diciannove (Orizzonti) dove ha un ruolo piccolo ma cruciale. Tre esordi alla regia accesi vitalisticamente dal talento di Zackari Delmas, istintuale, spurio, sanguigno, un volto truffautiano, un corpo di cinema come partorito dalla nouvelle vague (lui, d’altro canto, è francese da parte di madre), incontenibile ragazzo interrotto ma, anche, figura malinconica, dotata di una vibrazione imprendibile, nel film di Giovanni Tortorici. L’abbiamo incontrata, questa splendida promessa classe 2005; uno che, lasciateci passare la retorica critica un po’ liricizzante, è davvero nato per il grande schermo, con l’abilità, al contempo, di dominarlo e di perdercisi dentro.
QUESTIONARIO
- Come è avvenuta la tua educazione alle immagini: tv, cinema o piattaforme?
Ho avuto la fortuna di avere un padre artista di strada, spesso lo accompagnavo e assistevo ai suoi spettacoli di teatro fisico. Lui è un grande amante del trash, soprattutto british, e del cinema comico: a casa non avevamo la tv ma mi sono consumato i dvd di Charlie Chaplin, Buster Keaton, ma anche Borat ed Epic Movie, che ho visto a otto anni, tanto per capirci. Più avanti è subentrato Netflix, come un po’ per tutti. - La folgorazione per la recitazione: come è scattata e perché?
È sempre stato un discorso in parallelo, per me, c’è sempre stata come passione ma non me la sono mai posta come obiettivo. A sette anni, per esempio, a scuola ho fatto corsi di improvvisazione che duravano anche fino alle otto di sera e durante i quali interagivo con miei coetanei ma pure con ragazzi più grandi, tredicenni. Nel frattempo facevo basket e volevo diventare campione di basket, facevo rugby e volevo diventare campione di rugby, vedevo Robin Hood e volevo fare l’arciere... La recitazione, invece, non è mai stata una questione passeggera o volatile, del tipo che recito un paio di settimane e voglio diventare DiCaprio ma poi mi passa. Non l’ho mai caricata del peso di una mira disciplinata. Ma questo trasporto nel voler diventare sempre altro l’ho potuto portare nel cinema, poi.
- Come sei arrivato a fare questo mestiere?
Grazie a mia mamma, ho cominciato da piccolo, appunto. Dopo ogni spettacolino scolastico mi diceva: “guarda che sei il più bravo!” ma io pensavo lo dicessero tutte le madri... Sempre a scuola feci un provino per il ruolo di un ragazzino che doveva parlare in italiano con un accento francese, per una serie tv. Lei mi preparò inserendo le frasi in francese su Google Traduttore e facendomi ascoltare la voce della “signorina” che le pronunciava in italiano! Mi hanno preso, mi sono iscritto a un’agenzia e da lì è partito tutto. - Quali sono le differenze che hai riscontrato maggiormente fra il set televisivo e quello cinematografico?
Ero piccolo quando mi sono cimentato con il set tv quindi non ho un ricordo precisissimo, però in seguito, a 14-15 anni, ho lavorato in POV – I primi anni, show di RaiGulp, vivendo per tre mesi insieme al resto del cast in un campus, era il periodo del COVID-19, ho conosciuto lì il mio migliore amico che ora fa il CSC, e lì sono scoppiate storie d’amore e di amicizia... Ogni set per me è una sorta di colonia estiva, crei dei legami intensi e immediati, che poi magari riesci a coltivare nel post, ma è la magia del set che li rende possibili. Se però penso al lavoro in un film o in una serie, è come scegliere fra mamma e papà, non saprei sbilanciarmi.
- Leggi riviste, cartacee e/o online, di critica cinematografica?
Sì, mi piace molto leggere articoli di cinema, online ma anche su Instagram, diciamo però che per me, a volte, sono un po’ la morte del cinema. È vero che, nel momento in cui esce, un film diventa del pubblico, ma questa smania di capire immediatamente, già sui titoli di coda, se ti è piaciuto o meno, e giudicarlo in modo netto, lo fa diventare un prodotto, un oggetto. Tanto più che non esistono pareri oggettivi. Spesso la valutazione, soprattutto se troppo estrema, è una posa, come dire: “sono prepotente, ho visto abbastanza da poter criticare senza appello”, quindi se hai visto una marea di film del passato allora puoi capire quelli di oggi secondo un unico criterio... Invece non è detto, perché l’opinione di chiunque ha valore. Noto tutto un movimento, per esempio su Twitch, per cui una sola voce si deve ergere, come quando alle medie, al parchetto, bisognava scegliere chi doveva tenere il discorso e chi ascoltare. Vorrei poi che le piattaforme assumessero un approccio più democratico, più da catalogo, per dare visibilità a film che invece non ne hanno, così da non fermarsi a parlare in massa sempre degli stessi titoli. - Come ti approcci alla storia del cinema? L’hai esplorata da autodidatta o seguendo una logica più accademica?
Da autodidatta, un po’ come con la musica. A casa sono il fratello maggiore e, a parte mio padre, non ho avuto una vera e propria “guida”, né un kit da seguire per una formazione cinematografica. A mio padre piace molto il western, a me no, però appunto mi ha avvicinato a Chaplin, e ho iniziato a guardare i biopic, come Charlot, ne ho visti anche molti italiani, per un periodo mi sembrava l’unico genere che riuscissimo a fare... Al momento il mio film preferito è Man on the Moon, su Kaufman, mi piace molto anche Gandhi – siamo sempre lì, ho il pallino dei film biografici! Poi recentemente ho visto La montagna sacra di Jodorowski, e Kynodontas di Lanthimos, a parer mio il suo film migliore, appena sopra a La favorita. Mentre Poor Things lo trovo sopravvalutato: cerca di essere d’élite ma per tutti al tempo stesso.
- Come descriveresti il tuo metodo d’attore?
Secondo me i metodi non servono. È come dire “studio per andare in bicicletta”, ma cosa studi, come metterti seduto sul sellino, come fare le curve?... Ovviamente c’è da fare un lavoro sul personaggio, ci sono le prove, però se conosci il tuo ruolo ed entri nella storia è fatta: l’attore deve essere bravo a immaginare e basta. Se riesci a trasformare l’immaginazione partendo da un punto interrogativo poi riesci a lavorare da dio, altrimenti improvvisi, copri quegli spazi di fantasia mancante e riesci a sopravvivere, ma la cosa essenziale è saperti rispondere alle domande su ciò che stai facendo. Mentre giri, mentre reciti, stai su un luogo vero, con persone vere, devi solo sapere cosa è accaduto dopo e cosa prima nella storia del personaggio, come vive e come si muove, il resto arriva in automatico. Bisogna lavorare con quella parte del cervello che è la razionalità prima delle riprese, anche per un mese intero, ma quando sei in scena, nel presente, devi esserti scordato tutto. Io sul set creo relazioni sociali che mi aiutano a rimanere nel personaggio, così so di poter stare tranquillo, in una dimensione di famiglia. Posso andare dalle costumiste a fare gossip per un’ora, fumare una sigaretta con il reparto di trucco e parrucco, avvicinarmi al fonico e chiedergli com’è andata... Lì sappiamo tutti cosa stiamo facendo, siamo tutti connessi sul progetto, tutti sanno per esempio che i pantaloni li terrai più bassi di 3 centimetri perché sei un coattello... Nessuno lascia nulla al caso e c’è un confronto costante. - Dimmi tre registi senza i quali non puoi vivere e tre interpreti che ti hanno formato.
Registi: Harmony Korine, Charlie Chaplin, Lars von Trier – ma ti dico anche Ettore Scola. Attori: Elio Germano, Cate Blanchett, Libero De Rienzo.
- Condividi un ricordo da un set che hai particolarmente a cuore.
Eravamo alla stazione Termini, a girare Una sterminata domenica. Col motorino, sotto la pioggia, vediamo questi senzatetto che si sdraiano sul set a dormire. Alain a un certo punto dichiara: “Termini non è un nome, è un verbo”. Io intanto li riprendo e dopo un po’ capisco la battuta... Ma penso anche a un momento in cui giravamo in treno, lo avevano fermato, eravamo bloccati dentro e Federica (Valentini, ndr) dice: “Devo uscire a fumare, mi sono rotta”, allora accende la sigaretta, parte l’allarme anti-incendio e ci fanno scattare tutti giù. Mentre giravo Diciannove, invece, ci stavamo fumando una valanga di tabacco, era dicembre e dovevamo far finta di star bene... Peccato che io faccio un ennesimo tiro e inizio a vomitare: il fonico si dispera! Ti dico un ultimo aneddoto, sul set di Il mio compleanno, io e Silvia D’Amico eravamo in auto, io guidavo col foglio rosa, dietro di noi c’era Christian al monitor, a fianco il fonico, poi l’attrezzista, nel van ci seguiva il capo della produzione... A una certa, lo vedi nel film, Silvia mi afferra per riempirmi di baci, la macchina sbanda, dietro di noi il direttore di produzione urla, senti dalla radiolina: “Zackari! Zackari”, mi fermo, mi volto e li vedo tutti impalliditi. “Al prossimo giro prendete gli elmetti!”. - Qual è il tuo film della vita?
Robin Hood e Robin Hood – Un uomo in calzamaglia. Man on the Moon. E poi: Kids, Dramma della gelosia e Eyes Wide Shut, questi tutti e tre insieme. Infine, La dolce vita.
Filmografia ragionata & commentata
Una sterminata domenica
Drammatico - Italia 2023 - durata 113’
Regia: Alain Parroni
Con Enrico Bassetti, Zackari Delmas, Federica Valentini, Lars Rudolph
Al cinema: Uscita in Italia il 14/09/2023
in streaming: su Apple TV Amazon Video
Diciannove
Drammatico - Italia 2024 - durata 109’
Regia: Giovanni Perrier Tortorici
Con Manfredi Marini, Vittoria Planeta, Dana Giuliano, Zackari Delmas, Maria Pia Ferlazzo, Luca Lazzareschi
Il mio compleanno
Drammatico - Italia 2024 - durata 90’
Regia: Christian Filippi
Con Zackari Delmas, Silvia D'Amico, Giulia Galassi, Simone Liberati, Federico Pacifici, Nicolò Medori