Prima manga (firmato dal Ken Wakui di Shinjuku Swan), poi anime, infine trilogia di film live action, Tokyo Revengers banchetta con tutto quello che pensavate di sapere sui viaggi nel tempo ma non avete mai osato esplorare: un tripudio di effetti farfalla sfruttati dal ventiseienne sfigato Takemichi Hanagaki per evitare la morte della sua fidanzata dei tempi delle scuole medie, Hina, uccisa da una delle più temibili gang di Tokyo, la Toman. La macchina del tempo che farà rimbalzare Takemichi dal 2017 al 2005, epoca della sua preadolescenza, è la stretta di mano con Naoto, fratello di Hina e complice nell’impresa del ragazzo.
Ma a materializzarsi nell’inestricabile matassa di storie che investono la prima stagione dell’anime (la seconda è disponibile su Disney+, la quarta è in fase di realizzazione), prima di uno sci-fi tra ritorni al futuro e spedizioni nel passato, è soprattutto una storia di giovani malavitosi e di scontri fra bande. Quasi come una reincarnazione di Crazy Thunder Road di Gakuryû Ishii, tra corse in moto e scazzottate su sfondi cyberpunk di parcheggi, cantieri e sfasciacarrozze, Tokyo Revengers procede per gincane impreviste e colpi di scena, flashback incrociati e dilatazioni improvvise che fanno durare un singolo scontro due o più episodi, liberando l’estroversa declinazione fantascientifica della trama in un coming of age introverso, riflessivo, felicemente ripiegato su se stesso.
Un romanzo di formazione (criminale, sentimentale, e fortemente maschile) in cui un pugno trascende agilmente la sua fisicità e diventa pensiero, trauma, dubbio, in perfetto stile shonen. Sulla nostalgia di Takemichi per la sua ragazza Hina prevale infatti, quale centralità tematica, la fratellanza criminale con gli altri membri della Toman, come l’efebico Mikey e lo spilungone Draken, unitamente alla missione esistenziale del protagonista di dare una svolta alla sua inettitudine resistendo ai duri colpi della vita a suon di lividi e graffi.
Takemichi arriva retroattivamente a questa svolta, attraversando la propria coscienza di quattordicenne e facendo i conti con un passato di gang che dichiarano di «possedere» quartieri della capitale giapponese ma non fanno altro che trovare scuse per picchiarsi, accogliere nuovi membri o cacciarne altri. Una mitologia vuota, la loro, un insieme di narrazioni potenziali che ben traduce le storie che ci si racconta in età puberale, su come si appare e su come si vuole diventare, mentre si misurano i propri sogni e le proprie paure.
Gli adolescenti di Tokyo Revengers, in apparenza ventenni che lottano contro trentenni ma in realtà quattordicenni alle prese con sedicenni, vivono (e fanno vivere empaticamente allo spettatore) le proprie illusioni criminali in qualità di verità cosmiche trasversali a ogni età, decretandosi generazione perduta (i genitori latitano) nel momento in cui innescano tragici effetti domino a partire da iperboli infantili e ingiustificate. Il mondo di Tokyo Revengers è uno spettro di emozioni giovanili compreso fra un pugno e una stretta di mano.
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