Da cosa nasce l’Overlook? Quali sono le fonti di ispirazione usate da Stephen King prima e da Stanley Kubrick poi per dargli “forma”? Lo scrittore lo immagina partendo dal ricordo di un albergo in stile georgiano in Colorado, sinistro e isolatissimo, in cui aveva soggiornato anni prima della stesura del romanzo e che, come un segno del destino, si chiamava Stanley.
L’Overlook cinematografico il regista lo “progetta” con gli scenografi Roy Walker e Leslie Tomkins, ed è un Frankenstein composto da “pezzi” diversi e discordanti: le facciate esterne sono quelle del Timberline Lodge, in Oregon; gli interni, ricostruiti nei londinesi Elstree Studios a Hertfordshire, richiamano quelli dell’Ahwahnee, struttura presente nel parco nazionale di Yosemite e costruita traendo ispirazione dagli antichi avamposti indiani.
Appassionato di architettura, Kubrick, per definire l’aspetto dell’immensa hall del suo Overlook, si lascia ispirare da quella dell’Imperial Hotel che Frank Lloyd Wright aveva firmato a Tokyo nel 1923 (poi demolito nel 1967 e oggi visitabile attraverso un tour virtuale), mentre le memorabili toilette rosso acceso omaggiano quelle del Biltmore, famoso albergo in Arizona il cui progetto è talvolta erroneamente attribuito allo stesso Wright, che si limitò invece a sviluppare il pattern architettonico ricorrente nella struttura.
Ne deriva una miscellanea di stili spiazzante, in cui non sono assenti tocchi art déco: una creatura allo stesso tempo coerente, riconoscibile ma anche “illogica”. Lo nota Francesco Savone in un articolo, sostenendo che “è praticamente impossibile ricostruire la pianta dell’edificio e che ciascuna stanza, ciascun corridoio sembra visto per la prima volta. Il succedersi degli angoli e dei corridoi è “prevedibile” (sappiamo che, a un certo punto, un muro si piegherà a gomito, o si aprirà in una porta), ma ciò è inutile visto che non sappiamo nulla del ritmo con il quale porte e spigoli, si alternano: e sospettiamo che non lo sapremo mai”.
L’Overlook si svela a pochi istanti dall’inizio di Shining, inquadrato da una ripresa aerea. L’edificio invade lo schermo con l’evidenza della sua immensa configurazione grigiastra, definita da una struttura piramidale centrale da cui si diramano corpi asimmetrici dalla marcata pendenza. L’impressione è quella di un organismo disarmonico e sinistro, la cui eccezionalità contrasta con la banalità quotidiana dell’appartamento dei Torrance, che Kubrick mostra poco dopo come a rimarcarne le differenze.
Nella casa in cui Danny consuma la sua colazione, tutto è volutamente rassicurante e, appunto, banale: dalla tovaglia a quadri al cesto della biancheria posato sull’asse da stiro, dalla mensola stipata di libri alla tazza con Tom & Jerry. A dire dell’importanza che Kubrick attribuiva al décor del suo Overlook, il fatto che alcune soluzioni d’arredo siano espressamente citate nei dialoghi, precisamente nella sequenza in cui Ullman, il direttore dell’albergo, mostra ai Torrance i locali che li ospiteranno.
Mentre visitano la gigantesca Colorado Room, l’uomo parla con Wendy dei motivi Navajo e Apache che la arredano, riferendosi alle soluzioni grafiche riprodotte sui tappeti, sull’enorme arazzo che sovrasta il camino e ai motivi geometrici disegnati sulla parte superiore delle vetrate; giunti invece alla sala da ballo (la Gold Room), Ullman dichiara di aver ingaggiato “un arredatore di Chicago per riammobiliare questa parte dell’hotel”, che è connotata dalla fitta trama di mosaici dorati a rivestire pareti e soffitti e dalla presenza di una moquette a motivi optical gialli e rosa (diversa da quella, celeberrima, posata davanti alla stanza 237 e caratterizzata dalla forma di un esagono che ne contiene un altro e dalle tinte arancione, rosso e nero).
Assente dal tour del direttore è la camera incriminata, che sarà “scoperta” prima da Danny e quindi visitata dal padre (e dagli spettatori con lui). Si tratta di uno spazio soffocante, in cui non c’è un singolo colore coordinato a un altro: la moquette è un accozzaglia di tinte (due sfumature di verde, viola e nero), le poltrone e i divani sono rosa, la carta da parati a strisce verticali presenta diversi toni di marrone, i pesanti tendaggi sono scuri e striati di giallo, mentre il bagno in cui appare la “creatura” è verde con allucinanti cornici arancione.
Praticamente un incubo cromatico, che però non sconfessa le esigenze di plausibilità architettonica pretese dall’autore, per cui la definizione di uno spazio realmente “percorribile” era talmente necessaria da far inseguire dalla sua steadycam Danny che, in groppa al suo triciclo, si muove lungo aree che il pubblico era già capace di riconoscere. Così l’Overlook è sospeso in un limbo incomprensibile tra realtà fisica e incongruenze escheriane, secondo i precisi voleri dell’autore citati da Jan Harlan in un’intervista al The Guardian: “Il set è stato costruito deliberatamente per essere insolito e per depistare; per esempio, quell’enorme sala da ballo non potrebbe trovarsi all’interno dell’albergo. È stata pensata in modo che il pubblico non sappia dove si trovi”.
Un numero imprecisato di studiosi ha tentato di mappare, senza successo, le stanze dell’albergo, mettendo alla luce la sua spazialità distorta, fatta di porte e corridoi che non portano da nessuna parte e di finestre “impossibili”, come quella visibile nell’ufficio di Ullman durante il colloquio con Jack. Leggendo il saggio di Enrico Carocci, Abitare l’Overlook Hotel. Il ruolo dello spazio anempatico in Shining, si apprende che queste crepe nella geometria dell’Overlook impedivano a uno stimatissimo critico come Chion di apprezzare il film. Chion lamentava il fatto che l’hotel fosse uno spazio astratto mai mostrato a misura d’uomo, e che il film non presentasse mai “la consapevolezza della verticalità dell’edificio”, così che “qualunque luogo [...] sembra condurre a qualunque altro luogo”, mentre la mancanza della vista del panorama dall’albergo faceva di quest’ultimo un posto “senza altezza, senza ambiente, senza vita quotidiana” .
A rispondere brillantemente a questa osservazione è peraltro lo stesso Carocci, che inquadra l’Overlook come la parodia di una casa – immagine, quella di una impossibile dimensione domestica, che l’opera titilla più volte, per esempio nelle parole di Ullman rivolte a Jack (“Voglio che si senta a casa sua”) o in quelle dello stesso protagonista, ormai totalmente impazzito (“Wendy, sono a casa”) – che, se da una parte “manifesta un generale squilibrio strutturale, dall’altra continua a ostentare la materialità di un costrutto architettonico, caratterizzato da dimensioni smisurate e spazi scarsamente articolati”. Come se, chiude Carocci, l’inquietudine primaria e fondamentale generata da Shining fosse da ricercare nella circostanza paradossale che “questo albergo non è una casa”.
Il film
Shining
Horror - USA, Regno Unito 1980 - durata 119’
Titolo originale: The Shining
Regia: Stanley Kubrick
Con Jack Nicholson, Shelley Duvall, Danny Lloyd, Scatman Crothers
Al cinema: Uscita in Italia il 31/10/2017
in streaming: su Now TV Sky Go Rakuten TV Google Play Movies Timvision Amazon Video Apple TV Microsoft Store
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