Mostra del cinema di Venezia 2024

Il Totoleone di Film Tv

PEDRO ARMOCIDA
Vorrei vincesse The Brutalist di Brady Corbet
Vincerà La stanza accanto di Pedro Almodóvar

EDDIE BERTOZZI

Vorrei vincesse Queer di Luca Guadagnino
Vincerà The Brutalist di Brady Corbet

CATERINA BOGNO

Vorrei vincesse - di -
Vincerà - di -


GIULIA BONA

Vorrei vincesse - di -
Vincerà - di -

MASSIMO CAUSO

Vorrei vincesse La stanza accanto di Pedro Almodóvar
Vincerà The Brutalist di Brady Corbet


MARIA SOLE COLOMBO

Vorrei vincesse The Brutalist di Brady Corbet
Vincerà The Brutalist di Brady Corbet

ADRIANO DE GRANDIS

Vorrei vincesse Queer di Luca Guadagnino
Vincerà The Brutalist di Brady Corbet

FIABA DI MARTINO

Vorrei vincesse Queer di Luca Guadagnino
Vincerà April di Dea Kulumbegashvili

SIMONE EMILIANI

Vorrei vincesse Joker: Folie à deux di Todd Phillips
Vincerà La stanza accanto di Pedro Almodóvar

ILARIA FEOLE

Vorrei vincesse La stanza accanto di Pedro Almodóvar
Vincerà The Brutalist di Brady Corbet


MARCO GROSOLI

Vorrei vincesse The Brutalist di Brady Corbet
Vincerà The Brutalist di Brady Corbet


ROBERTO MANASSERO

Vorrei vincesse La stanza accanto di Pedro Almodóvar
Vincerà The Brutalist di Brady Corbet

MATTEO MARELLI

Vorrei vincesse The Brutalist di Brady Corbet
Vincerà Harvest di Athina Rachel Tsangari


GIONA A. NAZZARO

Vorrei vincesse The Brutalist di Brady Corbet
Vincerà Maria di Pablo Larraín

LUCA PACILIO

Vorrei vincesse The Brutalist di Brady Corbet
Vincerà The Brutalist di Brady Corbet

EMANUELE SACCHI

Vorrei vincesse The Brutalist di Brady Corbet
Vincerà April di Dea Kulumbegashvili

GIULIO SANGIORGIO

Vorrei vincesse La stanza accanto di Pedro Almodóvar
Vincerà The Brutalist di Brady Corbet


CARLO VALERI

Vorrei vincesse Queer di Luca Guadagnino
Vincerà April di Dea Kulumbegashvili

 

 



Le recensioni dei film in concorso



29 agosto
Angelina Jolie
Maria (2024) Angelina Jolie

Maria

di Pablo Larraín

«Cosa è reale e cosa no è affare mio». Lo dice la Callas (Jolie) al maggiordomo (Favino), che con la cuoca (Rohrwacher) si prende cura della casta diva gli ultimi giorni, a Parigi. Ma la sua casa è l’opera, e dunque il passato, quella voce perfetta che non riesce a riprodurre, quel canto che l’ha salvata dalla madre mentre ora il corpo fa fatica e i farmaci - assunti smodatamente - confondono dato e memoria, rinchiudendola nella ghost story di quel che era. Maria non è come Spencer, al limite come Jackie (non solo per Onassis). Un nome proprio, un soggetto che cerca ancora di scriversi, di definirsi, di tenersi insieme come vuole, come può, anche nel cupio dissolvi, anche cantando (finalmente) solo per sé. Una donna privata, che il cinema sottrae al mito documentato: manipola l’archivio, tarocca la cronaca, cortocircuita la diva con la star. Fedora, prima che Viale del tramonto. Ma Larraín, qui, si ripete. Struggente? Sì, ma come fosse un testo già dato, solo reinterpretato. Che sia l’opera?


Giulio Sangiorgio, voto: 6


 

Úrsula Corberó, Nahuel Pérez Biscayart
El Jockey (2024) Úrsula Corberó, Nahuel Pérez Biscayart

El Jockey

di Luis Ortega

Buenos Aires. Remo Manfredini è un fantino leggendario. Di una scuderia mafiosa. E con un trauma oscuro. Alcol e droga, nichilismo burlesco e una collega di squadra (incinta) come compagna. «Ti amerò ancora: se muori e rinasci». Detto, fatto: un incidente ricercato, un coma da cui uscire (o forse no?) cambiato, en travesti, uomo donna o x, migliore e condannato a morte (o nuova vita?) dalla cosca. La risposta alle domande tra parentesi è già tra le righe. Ortega torna, dopo Lulu, a giocare con Nahuel Pérez Biscayart (120 battiti al minuto) in un cinema che qui si presenta come calco comico, esibito e svergognato: una caricatura del capostipite delle nuove risate amare argentine, ovvero Martin Reijtman, ma anche di Kaurismaki, Fassbinder, Rodrigues, Lynch e, naturalmente, Almodovar. Come dire? Tra I delinquenti di Rodrigo Moreno e I misteri del Bar Étoile di Abel/Gordon, ma privo di genio (cinematografico o di costume): solo un esercizio di divertito e divertente postmodernariato.


Giulio Sangiorgio, voto: 5



30 agosto
India Hair, Vincent Macaigne
Trois amies (2024) India Hair, Vincent Macaigne

Trois amies

di Emmanuel Mouret

«La gente preferisce i titoli allegri» dice un personaggio, e in modo non dissimile Mouret semplifica dietro le sue tre amiche la rete di amori, disamori, tradimenti e separazioni che si susseguono a spron battuto in due ore di insuperabile sintesi di scrittura, aperte e chiuse dalla voce narrante dell’attore feticcio Vincent Macaigne. Una ronde che, come spesso nell’autore francese, guarda a Woody Allen (sin dal font dei titoli) e a Rohmer, ma sempre con quel surplus di empatia che rende i suoi film capitoli di una cruciale educazione sentimentale: ribaltando l’assunto pascaliano che «il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce», Mouret costruisce poligoni amorosi i cui spigoli non feriscono, perché custoditi dalla capacità impagabile di ciascun personaggio di mettersi nei panni dell’altro, di sapere farsi da parte (come lo spettro gentile che fa qui un’apparizione), di sapere che amare, a volte, vuol dire sparire.


Ilaria Feole, voto: 8


 

Nicole Kidman, Nicholas Hoult
Babygirl (2024) Nicole Kidman, Nicholas Hoult

Babygirl

di Halina Reijn

Romy ha la classica vita perfetta (famiglia amorevole, marito focoso, posto di CEO) che nasconde sempre un buco, e nel suo caso quel vuoto ha la forma di un desiderio inesprimibile tra le lenzuola coniugali: quello di essere dominata, schiacciata, umiliata. Un giovane stagista le annusa addosso questa imperiosa necessità e si accende una relazione i cui rischi fanno parte del gioco, perché di gioco si tratta: Romy e Samuel (Nicole Kidman, il cui corpo divistico è qui mostrato e messo a tema anche nei suoi infiniti ritocchi, e Harris Dickinson) tastano il terreno per costruirsi una relazione sadomasochistica su misura, goffamente, teneramente, come in un Secretary a ruoli invertiti. Più che un thriller, una satira dell’era #MeToo; una commedia erotica sulla legittimità del desiderio femminile e (come già Bodies Bodies Bodies) un impietoso sguardo della regista (classe 1975) alla propria generazione, messa in riga da quelle successive.


Ilaria Feole, voto: 7



Paul Kircher, Angelina Woreth
Leurs enfants après eux (2024) Paul Kircher, Angelina Woreth

Leurs enfant après eux

di Ludovic Boukherma, Zoran Boukherma

È il 1992 (l’anno di nascita dei gemelli registi) e gli orizzonti, per gli adolescenti di un paesino della Lorena, sono limitati sino all’asfissia: per respirare un po’, Anthony ruba la moto del padre per una sola sera, ma proprio quella sera si innamorerà di Stéph e si farà fregare la moto da Hacine, innescando una faida lunga un decennio, alimentata dal razzismo radicato verso i francomaghrebini. Dal romanzo E i figli dopo di loro di Nicolas Mathieu, i gemelli Boukherma traggono un coming of age bifronte, che segue Anthony e Hacine per tutti gli anni 90, al ritmo di una colonna sonora di “pezzi facili” (che già scandivano i capitoli del libro: Nirvana, Springsteen, Red Hot Chili Peppers). L’affresco sociale tratteggiato è un po’ acerbo, ma il racconto di queste adolescenze (di)sgraziate è vitale e verace, soprattutto grazie al magnetico corpo attoriale di Paul Kircher (la migliore, però, è una matura Ludivine Sagnier dagli occhi colmi di amarezza).


Ilaria Feole, voto: 7


31 agosto
Alessandro Borghi
Campo di battaglia (2024) Alessandro Borghi

Campo di battaglia

di Gianni Amelio

Una macchina a mano che accarezza come un carrello; che ti mostra cose terribili senza edulcorarle nel nome dell’epica, ma che ha anche pietà delle ferite, le sofferenze, le debolezze, gli errori e gli orrori che ti sta mostrando: un giro intorno a un cumulo di cadaveri in mezzo ai quali si fa strada, all’improvviso, una mano spalancata che implora aiuto; un ospedale militare vicino alla linea del fronte della Prima guerra mondiale; un cortile nel quale allestire un’esecuzione “esemplare”; un buco nero che funziona anch’esso da ospedale, infossato da qualche parte in mezzo a un altipiano. Campo di battaglia non racconta la guerra come ce la immaginiamo, quella che si vince a colpi di fucile e cannoni e titoloni sui giornali (“Vittoria!”), ma l’altra: la guerra di chi è malamente sopravvissuto al fronte e non vuole tornarci, di chi ne cura le lacerazioni, di chi combatte le malattie, anche quelle sconosciute, anche le epidemie improvvise e devastanti, di chi è ligio alle regole e chi, invece, le regole le aggira e le inventa, e di chi si tira su le maniche e va avanti. “Qui non muore nessuno” non sono solo le ultime parole pronunciate nel nuovo film di Gianni Amelio, ma una specie di mantra, ripetuto due volte, un atto di volontà folle e disperato in un mondo fatto di malattia, dolore, morte, incomprensioni, buio, ricerche e certezze tutte più o meno vane. Non un film di guerra, perciò, ma un film sulle guerre che tutti, isolati o in gruppi, popoli, etnie, tutti noi poveracci, abbiamo combattuto e combattiamo quotidianamente. Dietro una rigorosa ambientazione storica, fatta non solo e non tanto di divise, vagoni ferroviari, ville palladiane, quanto di linguaggi, dialetti incomprensibili l’uno all’altro che si mescolano in quel crogiolo di sangue, Campo di battaglia ci parla soprattutto di quello che stiamo vivendo, rinunciando all’epica e scegliendo invece un sofferto, rigoroso umanesimo. Importa poco, in realtà, chi vince e chi perde, se c’è un “buono” e un “cattivo” tra i quali scegliere: Giulio e Stefano, i due amici e compagni di università divenuti medici militari, racchiudono entrambi ambiguità e debolezze, anche se oggi (ma forse anche allora, nel 1918, “l’anno della vittoria”, come annuncia un’amara didascalia iniziale) è inevitabile scegliere la rigorosa dedizione alla ricerca e alla “salvezza”, costi quel che costi, cui si dedica Giulio dietro i suoi occhialini tondi, sfidando la combattiva rigidità di Stefano, figlio di una classe che non ammette sconfitte, ma che è umanamente morta. E affidarsi a chi ha perso ancora prima di cominciare a “giocare”: la loro compagna di università, Anna, che in quanto donna non à riuscita a laurearsi in medicina e per questo è diventata volontaria crocerossina, anche lei al fronte, testarda custode della vita. Un gran film sull’utopia, immerso per lo più in anfratti scuri e dolorosi (rari gli esterni e spesso grigiastri), dove niente sembra poter sopravvivere, se non quel filo assurdo che tiene ciascun essere legato alla vita. Nonostante tutto, anche oggi.


Emanuela Martini, voto: 9



Nicholas Hoult
The Order (2024) Nicholas Hoult

The Order

di Justin Kurzel

L’australiano Kurzel guarda alle tensioni sociali dell’America contemporanea andando a pescare un caso di cronaca di quarant’anni fa, quello di Robert Jay Mathews, leader di un gruppo armato di suprematisti bianchi che nei primi anni 80, con rapine a banche e portavalori, tentò di finanziarsi un colpo di stato. Sul caso indaga il fittizio agente dell’FBI Terry Husk, incarnato da un Jude Law massiccio e febbrile, simultaneamente preda e cacciatore del guru neonazista Mathews (con la faccia d’angelo di Nicholas Hoult). Il film guarda alle atmosfere livide della serialità cupa e muscolare della prestige tv, True Detective su tutti, con qualche forzatura di sceneggiatura cui forse proprio un formato seriale avrebbe giovato; il sostrato (non così approfondito) di violenza e cieco razzismo di un’America incapace di evolvere resta l’aspetto più interessante di un onesto thriller, teso ed efficace.


Ilaria Feole, voto: 6



Adrien Brody, Guy Pearce
The Brutalist (2024) Adrien Brody, Guy Pearce

The Brutalist

di Brady Corbet

Nell’anno di Megalopolis, e ispirandosi a La fonte meravigliosa di King Vidor, la biografia immaginata di un architetto: László Tóth (Adrien Brody), ebreo emigrato da Budapest e sopravvissuto all’Olocausto, in patria star Bauhaus, negli States ultimo, accolto, tollerato, usato e abusato. Al centro, il rapporto con un milionario gli propone un progetto smisurato. 3 ore 35, 70 mm Vistavision (al Lido fuori fuoco), e un’idea di cinema smodato, sempre sulle sorti non proprio magnifiche e progressive del talento. Bascula tra poli lontani e inconciliabili, László Nemes e P. T. Anderson, assilla coi traumi di un secolo e le logiche del capitale il corpo e la psiche di un uomo, esaspera la dialettica servo/padrone tra artista e produttore, asserisce la necessità, nelle mode e nelle medie di oggi, di un gesto-cinema aggressivo, financo grave o greve nello stile. Le dimensioni contano: il finale chiede di tornare leggere, dietro il monumento (e quindi il film), come la forma si fa contenuto.


Giulio Sangiorgio, voto: 8



1° settembre





Fernanda Torres
I'm Still Here (2024) Fernanda Torres

I’m Still Here

di Walter Salles

“Non si può non fare niente” dice un amico a Eunice Paiva. È il 1971, lei è tornata a casa dopo giorni di detenzione da parte dell’esercito brasiliano; suo marito Rubens, ex deputato e, a insaputa della consorte, attivo in favore dei prigionieri politici, è ancora nelle mani del governo dittatoriale, e a casa non tornerà mai. Non si può non fare niente, ed Eunice, ora sola coi cinque figli, un conto in banca congelato, una vita dilaniata, decide di fare qualcosa. Foss’anche solo sorridere in una foto dove la si vorrebbe mesta. Salles confeziona un dramma civile misurato, saldamente poggiato sulle spalle dell’ottima Fernanda Torres (figlia d’arte di Fernanda Montenegro, qui in cameo) e su un uso sapiente degli spazi tra interno ed esterno (la casa dei Paiva, set articolato e “parlante”, e la spiaggia come orizzonte di libertà utopica); un manifesto, non sempre al netto di retorica, sull’importanza del ricordare per non ripetere la Storia.


Ilaria Feole, voto: 6




 

2 settembre



Tilda Swinton, Julianne Moore
La stanza accanto (2024) Tilda Swinton, Julianne Moore

La stanza accanto

di Pedro Almodóvar

Una scrittrice che racconta il suo timore per la morte (Moore) ritrova un’amica, una reporter di guerra malata terminale (Swinton), che le chiede un gesto estremo: stare con lei fino al giorno scelto per uccidersi, con una pillola, in una casa nel bosco. Attenta!: l’eutanasia è ancora un reato, ed è necessario non rivelare d’esserne complici. Il voto qui sotto è quello a cui solo i maestri - e il loro cinema fuori dal tempo - possono ambire: in Almodóvar, oggi, tutto è asciutto e abissale, ogni segno è evidente, essenziale. Quello che sembra un possibile gioco sulla soglia (tra vivere e morire, ma anche tra realtà e fiction, con quelle professioni dedite al racconto, i film citati, libri letti e commentati) si libera da ogni ipotesi meta, da ogni slancio di genere (thriller, naturalmente), e rigetta le esche lasciate durante il percorso. Sceglie la vita, accetta la morte: usa il cinema e la letteratura per capire la realtà, non per perdercisi dentro. Semplice. Bellissimo.


Giulio Sangiorgio, voto: 10

 


Roberta Rovelli
Vermiglio (2024) Roberta Rovelli

Vermiglio

di Maura Delpero

A Vermiglio, borgo della Val di Sole, la neve attutisce i rumori, ma non stempera i desideri che covano sotto la severa routine dell’affollata famiglia Graziadei, il cui pater familias (Tommaso Ragno) è il distinto professore dell’unica classe locale. Mentre la primogenita si innamora di un soldatino siciliano (siamo alla fine della Seconda guerra mondiale), le più giovani scoprono le proprie voglie e i segreti degli adulti, in una ricerca di libertà (proprio nei mesi in cui l’Italia intera viene liberata) che si propaga da un membro all’altro della famiglia, come un piccolo contagio. Maura Delpero esplora questo microcosmo con tenerezza e ironia, scivolando da un punto di vista all’altro per dare dignità allo sguardo dei grandi e dei bimbi, rompendo gli schemi del film storico con una svolta di trama quasi funambolica, che allude a quell’Italia così lontana dall’essere unita. Un’opera dal passo sicuro e aggraziato.


Ilaria Feole, voto: 7




3 settembre



Caleb Landry Jones
Harvest (2024) Caleb Landry Jones

Harvest

di Athina Rachel Tsangari

Da Il raccolto di Jim Crace, l’atteso ritorno di Tsangari. Qui siamo in una Scozia astorica, in un mondo agricolo al tramonto, in una terra sterile. Con lo sguardo (come sempre) alle dinamiche di potere di una società chiusa, il passo della paraboletta marxista, e il 16mm di Sean Price Williams a giocare con gli attori, aprire la fiction verso il teatro e fare tanto «cinema alla moda» (Tsangari, acuta, fece un fashion film surreale: The Capsule). Nella landa desolata c’è un incendio: la colpa è di giovinastri irresponsabili, ma a essere puniti sono, naturalmente, due stranieri (+ una). Gli stupidi guardano il Dito, ma la Luna è un altro forestiero, chiamato a mappare il territorio: dietro di lui c’è il proprietario (nascosto, rimandato dal film) che muove le sorti, vuole farla finita con la realtà contadina. The Village? Lazzaro felice? Anche Haneke, in acido e in assurdo. Un film-laboratorio, una storia a tesi, un linguaggio consunto.


Giulio Sangiorgio, voto: 6

 


Daniel Craig, Drew Starkey
Queer (2024) Daniel Craig, Drew Starkey

Queer

di Luca Guadagnino

Guadagnino prova ad adattare un Burroughs ancora possibile: Lee (Craig) - benestante, promiscuo, tossico: lo stesso scrittore in autofiction ante-litteram - è ossessionato da un corpo d’amore, Allerton (Starkey), opaco e incomprensibile. Il punto non è penetrarlo fisicamente, ma mentalmente. Prenderlo nel proprio desiderio. Provando anche la telepatia. L’occhio del regista si sente, non si adegua banalmente all’ossessione: la guarda muoversi grottesca, patetica, buffa, un poco lontano. Oppure troppo vicino, a un passo dalla parodia, strafatto, allucinato, anche kitsch. Non è un autore da marche ricorrenti, Guadagnino: è un brand (si vedano i cameo) e uno sguardo. La forma esaltante della sua cinefilia corrisponde alla malattia d’amore del protagonista: una serie di immagini (della storia del cinema) che persistono. Non da imitare, ma di cui provare ad appropriarsi, penetrandole, riscrivendole, reinventandole: si comincia con Fassbinder, ma il III atto - bellissimo - finisce nel loop di Kubrick.


Giulio Sangiorgio, voto: 8





Vincent Lindon
The Quiet Son (2024) Vincent Lindon

The Quiet Son

di Muriel e Delphine Coulin

Il volto afflitto di Vincent Lindon nei panni di uomo onesto ma ferito dalle ingiustizie è ormai un genere a sé: stavolta è un operaio vicino alla pensione, nel passato una militanza di sinistra ora archiviata, dopo la morte della moglie, per meglio dedicarsi ai due figli maschi. Il minore è stato ammesso alla Sorbona, il maggiore invece inizia a frequentare gruppi di estrema destra dediti a prove di forza fisica che sfociano nella violenza: il conflitto tra padre e figlio apre una crepa irreversibile nel tessuto familiare. L’ambientazione è la medesima Lorena desolante di un altro film del Concorso (Leurs enfants après eux), ma il tema è tristemente attuale per molti altri paesi europei; purtroppo però le sorelle Coulin (17 ragazze) gestiscono il materiale incandescente con una correttezza stilistica al netto di ogni rischio e di ogni azzardo, troppo educata e telefonata per meritarsi la sezione principale della Mostra.


Ilaria Feole, voto: 5





4 settembre
Denise Capezza
Diva Futura (2024) Denise Capezza

Diva futura

di Giulia Louise Steigerwalt

Moana, Ilona, Eva. Nomi che accendono ricordi di desideri e VHS riavvolte di un’epoca, tra anni 80 e 90, in cui Riccardo Schicchi (un sorprendente, bravissimo Pietro Castellitto) rivoluzionò la pornografia nostrana creando icone erotiche con la sua agenzia Diva futura, incubatrice di sogni bagnati, di carriere ambiziose e, verso la fine, di debiti e arresti. Prodotto dalla Groenlandia di Matteo Rovere con RaiCinema, Piper Films e Netflix, di quest’ultimo porta il marchio nella confezione accattivante da biopic pop, che cavalca il trend della nostalgia per i Nineties, con tre giovani attrici chiamate all’ingrato compito di incarnare le pornodive, e la sempre ottima Barbara Ronchi nei panni della segretaria che osserva la cocciuta “missione” di Schicchi. Creatore di un immaginario erotico soffice e fanciullesco di cui la sceneggiatura della stessa Steigerwalt mette in luce lo slancio romantico e, approssimando un po’ per eccesso, pure femminista.


Ilaria Feole, voto: 6

 


Joaquin Phoenix, Lady Gaga
Joker: Folie à Deux (2024) Joaquin Phoenix, Lady Gaga

Joker: Folie à Deux

di Todd Phillips

Per capire un film è necessario inserirlo nel suo contesto produttivo. Questo secondo capitolo di Joker è in teoria ancora un cinecomic, un film da pop culture, un’opera per le masse. In questo ambito, è un film radicalissimo. Si apre con un Looney Toons degenere (firmato Sylvain Chomet!): Io e la mia ombra, a ribadìre il conflitto identitario del protagonista (Folie à deux? Sicuri sicuri?). La scena (da camera) è quella di un film carcerario che si fa processuale, portando in aula Arthur per gli omicidi commessi. Il fatto è che tutto è un possibile falso movimento, una probabile realtà immaginata, la forma di una malattia mentale. A cominciare dal rapporto (colmo di buchi di realismo) con Harley Quinn (non a caso interpretata dall’idolo da immaginario pop odierno Lady Gaga) e dai siparietti musical. L’agenda dei temi (patologie psichiche, società dello spettacolo anempatica, rabbia sociale) è la stessa del primo film. Come se questo fosse una variazione surrealista, prima che un sequel. Ardito, suicidale.


Giulio Sangiorgio, voto: 6



Ia Sukhitashvili
April (2024) Ia Sukhitashvili

April

di Dea Kulumbegashvili

Il formato è 4:3, le inquadrature sono fisse ma non ferme, nell’oscillazione lieve di una camera a mano: tutto suggerisce un sistema oppressivo, di chiusura e di controllo, sulla vita della protagonista. E delle donne georgiane in generale, perché Nina fa l’ostetrica in città e pratica aborti clandestini nei villaggi, dove ragazze giovanissime o mogli esauste cercano di sottrarsi a gravidanze che non hanno mai voluto. L’opera seconda di Kulumbegashvili, dopo l’acclamato Beginning, torna a raccontare di oppressione e violenza sistematica sul corpo femminile, con un dispositivo soffocante e al limite del compiaciuto, problematico nel tracciare il confine tra visibile e invisibile (i cesarei sono in campo, l’aborto in un estenuante fuoricampo memore del Mungiu di 4 mesi 3 settimane 2 giorni) anche se indubbiamente maturo, con una suggestiva gestione del realismo magico che trasforma in letterale mostro il femminile soffocato.


Ilaria Feole, voto: 6




5 settembre
Chien-Ho Wu
Stranger Eyes (2024) Chien-Ho Wu

Stranger Eyes

di Yeo Siew Hua

Yeo Siew Hua l’ha dichiarato: in un’isola come Singapore esiste un regime di sorveglianza. Poi, oltre alle immagini del controllo, ci sono quelle registrate da videocamere, cellulari, webcam, nelle forme di video di famiglia, dirette streaming, stories e così via. Ma chi sono le figure in quelle immagini? Cosa diventano per chi guarda? La storia pare quella di una coppia mesta, litigiosa, viziatella (vive con loro la madre di lui), della loro figlioletta neonata scomparsa e di uno stalker laconico (che vive con la madre) che li spia, registra, e lascia sotto la loro porta di casa dvd. Niente da nascondere, Blow Up, La finestra sul cortile? L’indagine, sempre realista, nasconde un film astratto, sussurrato, dove contano i rapporti genitore/figlio e non quelli di coppia. La fredda superficie dell’eterno presente costruito da troppe immagini trova alla fine uno struggente mélo fuori dal tempo. Una cosa che, nonostante tutto, non s’era vista.


Giulio Sangiorgio, voto: 7

 


Elio Germano
Iddu (2024) Elio Germano

Iddu

di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza

La realtà è che in Italia, i registi che tentano d’uscire dal vetero-realismo e dai suoi generi (non molti: il biopic storico, il dramma degli ultimi, la commedia degli stupidi - quella da salotto di sinistra è in grande calo), sono registi da difendere. Ma, poiché «la realtà non è la destinazione, è la partenza», non possiamo non dirci delusi dal film di Piazza/Grassadonia (Salvo, Sicilian Ghost Story): Iddu, ovvero lui, innominabile, latitante, mitologico, (ispirato a) Matteo Messina Denaro (Germano), nascosto in un appartamento (lo accudisce Bobulova), e in rapporto epistolare con l’appena rilasciato Preside (Servillo), ometto DC in balia del passato e ricattato dai servizi. L’impressione è che il film - ambizioso e irrisolto - non riesca mai a tenere una (dis)misura, a domare (paradossalmente intimorito) i troppi toni, a gestire pienamente, in ogni reparto, i tanti registri (il grottesco petriano non inquieta, se è così didascalico...). Lo rivedremo.


Giulio Sangiorgio, voto: 5


scena
Youth (Homecoming) (2024) scena

Youth: Homecoming

di Wang Bing

Ultima parte del trittico (lungo poco meno di 10 ore) Youth, aperto da Spring (Cannes 2023) e proseguito con Hard Times (Locarno 2024), Homecoming continua a registrare le vite degli operai tessili della città di Zhili, accompagnandoli qui verso il rientro a casa per le ferie di Capodanno. Lo fa chiudendo il ciclo produttivo, lungo un anno, che nel primo capitolo si apriva proprio col ritorno al lavoro dopo le feste. Girato tra il 2014 e il 2019 (da quel materiale sono usciti anche Bitter Money e una lunga installazione per Documenta), il film testimonia la vita, gli orizzonti, i sogni di questi operai, semplicemente stando con loro, pedinandoli, lasciando che il ritmo del loro esistere prenda una forma cinematografica. Si tratta di un’opera fondamentale per capire cosa è la Cina di oggi e quello che si cela dietro le logiche del capitale: il punto è che esista, un film come questo. Anche solo perché è capace di dare dignità da protagonisti a degli invisibili.
 


Giulio Sangiorgio, voto: 8



6 settembre
Andrea Bræin Hovig, Tayo Cittadella Jacobsen
Love (2024) Andrea Bræin Hovig, Tayo Cittadella Jacobsen

Love

di Dag Johan Haugerud

Un’urologa e un infermiere, a Oslo: entrambi sono single, entrambi curano gli uomini (la «parte bassa del corpo», così cruciale, così travisata), entrambi li desiderano e li amano. Nell’arco di tre settimane estive, una serie di incontri, sessuali e non solo, li mette a confronto con la complessità dei sentimenti e delle relazioni, con la necessità di accudire l’altro, di capirsi al di là degli errori comunicativi: il film si apre sull’annuncio di una diagnosi difficile, su un paziente che non la comprende appieno, e la stessa necessità di ripetere, di appianare, di venirsi incontro è quella che guida i personaggi di questo limpido forum sentimentale (parte di una trilogia: alla Berlinale c’era Sex, arriverà Dreams). La cui ambientazione è più di un contenitore: nel 2024 Oslo festeggia il centenario della sua attuale denominazione, dando eco alla necessità, talvolta futile e dolorosa, di dare un nome alle cose che viviamo.


Ilaria Feole, voto: 7

Autore

AA.VV.

(a cura della redazione di Film Tv)

I film in concorso

locandina Vermiglio

Vermiglio

Drammatico - Italia, Francia, Belgio 2024 - durata 119’

Regia: Maura Delpero

Con Tommaso Ragno, Roberta Rovelli, Sara Serraiocco, Giuseppe De Domenico, Carlotta Gamba, Martina Scrinzi

Al cinema: Uscita in Italia il 19/09/2024

locandina Love

Love

Drammatico - Norvegia 2024 - durata 119’

Titolo originale: Kjærlighet

Regia: Dag Johan Haugerud

Con Andrea Bræin Hovig, Tayo Cittadella Jacobsen, Marte Engebrigtsen, Thomas Gullestad, Lars Jacob Holm

Youth (Homecoming)

Documentario - Francia, Cina 2024 - durata 152’

Titolo originale: Qing chun (gui)

Regia: Wang Bing

locandina Iddu

Iddu

Drammatico - Italia, Francia 2024 - durata 122’

Regia: Fabio Grassadonia, Antonio Piazza

Con Toni Servillo, Elio Germano, Daniela Marra, Barbora Bobulova, Fausto Russo Alesi, Giuseppe Tantillo

Al cinema: Uscita in Italia il 10/10/2024

locandina Stranger Eyes

Stranger Eyes

Thriller - Singapore, Francia, Repubblica di Cina, USA 2024 - durata 125’

Titolo originale: Stranger Eyes

Regia: Siew Hua Yeo

Con Kang-sheng Lee, Mila Troncoso, Chien-Ho Wu, Vera Chen, Xenia Tan, Pete Teo

April

Documentario - Georgia 2024 - durata 143’

Titolo originale: April

Regia: Dea Kulumbegashvili

Con Ia Sukhitashvili, Kakha Kintsurashvili, Merab Ninidze

locandina Joker: Folie à Deux

Joker: Folie à Deux

Musicale - USA 2024 - durata 138’

Titolo originale: Joker: Folie à Deux

Regia: Todd Phillips

Con Zazie Beetz, Brendan Gleeson, Joaquin Phoenix, Catherine Keener, Lady Gaga, Harry Lawtey

Al cinema: Uscita in Italia il 02/10/2024

locandina Diva Futura

Diva Futura

Drammatico - Italia 2024 - durata 120’

Regia: Giulia Louise Steigerwalt

Con Denise Capezza, Barbara Ronchi, Pietro Castellitto, Tesa Litvan, Davide Iachini, Lidija Kordic

The Quiet Son

Drammatico - Belgio, Francia 2024 - durata 110’

Titolo originale: Jouer avec le feu

Regia: Delphine Coulin, Muriel Coulin

Con Vincent Lindon, Sophie Guillemin, Benjamin Voisin, Denis Simonetta, Hugo Bariller, Thomas Arnaud

Queer

Drammatico - Italia, USA 2024 - durata 151’

Titolo originale: Queer

Regia: Luca Guadagnino

Con Daniel Craig, Jason Schwartzman, Lesley Manville, Drew Starkey, Henrique Zaga, Drew Droege

locandina Harvest

Harvest

Drammatico - Regno Unito 2024 - durata 131’

Titolo originale: Harvest

Regia: Athina Rachel Tsangari

Con Caleb Landry Jones, Harry Melling, Frank Dillane, Rosy McEwen, Arinze Kene, Thalissa Teixeira

Maria

Biografico - Germania, USA, Emirati Arabi Uniti, Italia 2024 - durata 124’

Titolo originale: Maria

Regia: Pablo Larrain

Con Angelina Jolie, Valeria Golino, Kodi Smit-McPhee, Haluk Bilginer, Pierfrancesco Favino, Alba Rohrwacher

locandina La stanza accanto

La stanza accanto

Drammatico - Spagna 2024 - durata 110’

Titolo originale: The Room Next Door

Regia: Pedro Almodóvar

Con Tilda Swinton, Julianne Moore, John Turturro, Alessandro Nivola, Juan Diego Botto, Victoria Luengo

Al cinema: Uscita in Italia il 05/12/2024

locandina I'm Still Here

I'm Still Here

Storico - Brasile, Francia 2024 - durata 135’

Titolo originale: Ainda Estou Aqui

Regia: Walter Salles

Con Maeve Jinkings, Fernanda Montenegro, Fernanda Torres, Selton Mello, Antonio Saboia, Marjorie Estiano

The Brutalist

Drammatico - USA 2024 - durata 215’

Titolo originale: The Brutalist

Regia: Brady Corbet

Con Adrien Brody, Felicity Jones, Guy Pearce, Alessandro Nivola, Vanessa Kirby, Stacy Martin

The Order

Thriller - USA 2024 - durata 114’

Titolo originale: The Order

Regia: Justin Kurzel

Con Nicholas Hoult, Jude Law, Tye Sheridan, Jurnee Smollett, Alison Oliver, Odessa Young

locandina Campo di battaglia

Campo di battaglia

Drammatico - Italia 2024 - durata 104’

Regia: Gianni Amelio

Con Alessandro Borghi, Gabriel Montesi, Federica Rosellini, Giovanni Scotti, Vince Vicenzio, Alberto Cracco

Al cinema: Uscita in Italia il 05/09/2024

Leurs enfants après eux

Drammatico - Francia 2024 - durata 146’

Titolo originale: Leurs enfants après eux

Regia: Ludovic Boukherma, Zoran Boukherma

Con Paul Kircher, Angelina Woreth, Sayyid El Alami, Ludivine Sagnier, Anaïs Demoustier, Gilles Lellouche

Babygirl

Giallo - USA 2024 - durata 114’

Titolo originale: Babygirl

Regia: Halina Reijn

Con Nicole Kidman, Harris Dickinson, Antonio Banderas, Jean Reno, Sophie Wilde, John Cenatiempo

Trois amies

Drammatico - Francia 2024 - durata 117’

Titolo originale: Trois amies

Regia: Emmanuel Mouret

Con Camille Cottin, Sara Forestier, Damien Bonnard, Vincent Macaigne, India Hair, Grégoire Ludig

locandina El Jockey

El Jockey

Giallo - Argentina, Spagna, USA, Messico, Danimarca 2024 - durata 96’

Titolo originale: El Jockey

Regia: Luis Ortega

Con Úrsula Corberó, Daniel Gimenez Cacho, Nahuel Pérez Biscayart, Mariana Di Girolamo, Daniel Fanego, Roberto Carnaghi