Due sì, tre no

Esiste una realtà alternativa in cui, nella prima metà degli anni 90, gli astri si sono allineati in maniera leggermente diversa e hanno decretato necessario e urgentissimo che ci si affrettasse a incassare il prima possibile sull’inaspettato successo commerciale di Beetlejuice - Spiritello porcello (1988), realizzando la sceneggiatura del sequel che più convinceva Tim Burton all’epoca: Beetlejuice Goes Hawaiian. Ipnotizzato dalla chimera di poter giustapporre la solare estetica del surf ai toni lugubri dell’espressionismo tedesco, infatti, Burton è andato a tanto così dal girare un seguito in cui la famiglia di Lydia (Winona Ryder) si trasferisce alle Hawaii per costruire un resort sul terreno in cui riposa un antico spirito Kahuna, che si risveglia piuttosto vendicativo e viene sconfitto solo grazie agli eroismi sulla tavola da surf di Beetlejuice.

Prendiamoci un momento di pausa per apprezzare la pazienza di Tim Burton, che ha saputo frenare un entusiasmo mal riposto per attendere il momento (e il copione) giusto. Ha aspettato che la sua fiamma gotica tornasse a bruciare dopo anni passati in pantofole, e quando Alfred Gough e Miles Millar gli hanno messo in mano le sceneggiature di Mercoledì qualcosa è scattato. Il progetto per il sequel di Beetlejuice è uscito dalla sua forma ectoplasmica ed è rinato grazie alle penne di Gough e Millar, sostenuto anche dalla presenza ideale di Jenna Ortega e dal ritorno di praticamente tutti i membri del vecchio cast (Michael Keaton, Winona Ryder e Catherine O’Hara), a cui si aggiungono Monica Bellucci, Willem Dafoe, Danny DeVito e Justin Theroux. Produce la Plan B (che fu) di Brad Pitt, tre volte premio Oscar per il Miglior film dal 2009 a oggi (The Departed, 12 anni schiavo, Moonlight), a conferma che Beetlejuice Beetlejuice nasce (non solo) per approfittarsi dello stato di culto del primo capitolo, ma anche per cercare di rinnovarlo. Il sigillo ufficiale di origine controllata definitivo, poi, arriva con l’annuncio che Beetlejuice Beetlejuice – in sala in Italia dal 5 settembre distribuito da Warner Bros. – avrebbe inaugurato, il 28 agosto e Fuori concorso, l’81ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

Trentasei anni fa una serie di eventi ricchi di calypso portarono l’adolescente gotica Lydia Deetz a un passo dal matrimonio con il fantasma Betelgeuse (rigorosamente da storpiare in Beetlejuice solo per il gusto di dire “succo di coleottero” davanti alle vecchiette senza farsi capire), bio-esorcista professionistico in grado di disinfestare qualsiasi umano sgradito da qualsiasi magione già occupata da uno spirito. Oggi, dopo la prematura morte del capofamiglia Charles, la famiglia Deetz torna nell’ex casa infestata di Winter River, nel Connecticut, dove Lydia ha passato la giovinezza. Dopo le ragguardevoli esperienze avute da ragazza, peraltro, la nostra è diventata una divulgatrice esoterica e conduce un popolare programma intitolato Ghost House. Sua figlia, l’adolescente Astrid, lo odia.

A scuola viene presa in giro perché la madre è una stramba, ma Astrid è il tipo di liceale che risponde alle bulle sottolineando che sarà lei a ridere per ultima, quando loro dovranno riempire i vuoti delle rispettive esistenze tradendo il marito con l’istruttore di pilates. Una tipetta del genere, insomma. Anche piuttosto cinica e con una mira eccezionale, dal momento che rifiutarsi di credere ai fantasmi è di gran lunga il metodo migliore e più doloroso per ribellarsi a una mamma decisamente spiritica. Dovrà cambiare idea, radicalmente e drasticamente, quando verrà risucchiata nel mondo dei fantasmi e Lydia sarà costretta a evocare il suo spirito spreferito per cercare di salvarla. Beetlejuice Beetlejuice Beetlejuice. Non guardarti alle spalle troppo in fretta che ti si infiamma la cervicale.

Il film