A cinque anni dall’infamato finale di serie di Il trono di spade, che mise nei guai gli showrunner Benioff e Weiss (ora tornati in carreggiata con Il problema dei 3 corpi per Netflix) e suscitò un’ondata di indignazione da oltre due milioni di firme (a una petizione che ne chiedeva a gran voce un remake istantaneo), possiamo infine considerarlo un trauma risanato, un capitolo chiuso? Per i fan delle Cronache del ghiaccio e del fuoco (o meglio della sua trasposizione tv) forse sì, visto che House of the Dragon, ambientato quasi 200 anni prima della nascita di Daenerys, continua a macinare buonissimi ascolti.
Ma, forse, non per gli autori Ryan Condal e soprattutto George R.R. Martin, che, penna dei romanzi di partenza e di questo prequel, ultimamente ha lasciato intendere un certo scontento per la piega presa dagli eventi nella seconda annata. Al di là della nostalgia a cui Condal e la writers room danno sempre più spago - pensiamo al cameo di Milly Alcock/Rhaenyra adolescente, “salutata” appena sette puntate fa... - e delle scelte violanti quelle su pagina scritta - ma il voto di fedeltà all’originale, di norma sanamente spezzato, è comunque l’ultimo dei problemi di un buon racconto per immagini -, si drena, ancora e ancora, dal capostipite il cuore del suo successo, o un’idea dello stesso.
Non le morti shock, in questo secondo viaggio a Westeros saggiamente ridotte, e neanche troppo la fomentazione delle tifoserie, qui ristrette ai Neri (i Targaryen di Rhaenyra, erede del defunto re Viserys e fuggita da palazzo) e ai Verdi (gli Hightower di Alicent, regina vedova che ha imposto sul trono l’inetto pargolo Aegon, provvisto del sangue di Viserys ma non della sua benedizione). Ci si concentra piuttosto sull’osservanza di una moralità chiaroscurale in personaggi che agiscono per tornaconti personali, sulla base di ideali ambigui o spinti da valori che non sempre reggono la messa alla prova dell’umanità. Su carta, quantomeno: l’impressione è che il timore di una nuova “shitstorm ”, di una sollevazione popolare paragonabile a quella del 2019, stia persuadendo gli autori a tirare il freno nei momenti decisivi, a detrimento della coerenza nella scrittura dei protagonisti.
Lo scopo? Far sì che non siano mai percepiti come irredimibili. Qualche esempio: la tragedia accidentale che chiudeva la prima stagione esaurisce rapidamente il proprio potenziale drammatico, con un villain (lo strepitoso Ewan Mitchell) di conseguenza depotenziato. Si registra poi una frustrante ostinazione a mantener virtuose le figure femminili per mezzo della maternità, che dovrebbe unire le ex amiche Rhaenrya e Alicent pur essendo stata vissuta dalle due antiteticamente, ma altro non fa che indebolirne e impoverirne i rispettivi conflitti. A un discorso, mai così acceso nella storia della serie, su come la pornografia del dolore esaltata in uno spettacolo pubblico strumentalizzi i favori del popolo, e a una valorizzazione finalmente sfaccettata dei draghi in campo, si affianca una generale indecisione nel movimento delle pedine sulla scacchiera: persino Daemon è appiattito sullo sfondo, incerto tra redenzione e tossicità. Per ora, nel dubbio ci restiamo anche noi.
La serie tv
House of the Dragon
Fantasy - USA 2022 - durata 67’
Titolo originale: House of the Dragon
Creato da: Ryan J. Condal, George R.R. Martin
Con Scroobius Pip, Amanda Collin, Ellora Torchia, Rebecca Calder, Clive Brunt, James Cork
in streaming: su Rakuten TV Now TV Microsoft Store Sky Go
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