«Vedi, te lo avevo detto che portare una creatura viva in casa sarebbe stato un errore!» esclama Alvy Singer/Woody Allen mentre “lotta” contro un esercito di aragoste in Io e Annie. Ha qualche difficoltà a domare i crostacei anche la protagonista di Kitchen (2005) di Alice Winocour - disponibile gratuitamente su ARTE fino al 1º giugno 2025 -, che ne ha acquistati due esemplari per compiacere il marito con una ricetta nuova. Ma, chiusa tra le mura domestiche e di fronte a chele, antenne e zampette in movimento, è in preda a una crescente angoscia perché non sa come cucinare (cioè uccidere) quelle creature vive che si dimenano sotto ai suoi occhi.

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Kitchen

È in quel momento che comincia a considerare l’aragosta e, per rispecchiamento, anche se stessa, il suo matrimonio, la sua esistenza scandita da giorni identici - come una novella Jeanne Dielman - fatti di ripetitive cene per lo sposo e trite parole di circostanza. Nei tentativi sempre più matti di sottomettere l’animale, la moglie (che infatti non ha un nome, è solo “la femme”, come se questa condizione bastasse a definirla, come se non ci fosse altro fuori dalla casa-prigione dove si svolge quasi tutto il corto) inizia a scivolare lentamente verso una lucida follia, un progressivo stato di ansia che procede parallelo a un inedito risveglio dal torpore quotidiano in cui era intrappolata. In gabbia, simile all’aragosta, che finisce fulminata dentro la vasca da bagno, la stessa dove la protagonista si lava all’inizio del film.

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Kitchen

Kitchen, selezionato a Cannes, primo corto della regista francese, fa pensare al capolavoro di Chantal Akerman ma anche all’inquietudine familiare che grava sulle donne di Shirley Jackson (la Dimity del racconto Invito a cena, anche lei disperata tra i fornelli e schiacciata dallo sguardo giudicante di un uomo che la reputa inferiore), scrittrice abilissima a narrare la paranoia della condizione femminile. Alla fine del corto, però, la moglie lascia finalmente la cucina e cammina da sola per la strada, libera, come la protagonista di Augustine (2012), primo lungo di Winocour, che riesce a fuggire dall’ospedale psichiatrico dove era in cura, paziente-cavia da laboratorio del dottor Jean-Martin Charcot e dei suoi studi sull’isteria.

Soko
Augustine (2012) Soko

«Mi sono resa conto di aver scritto e diretto molte storie che parlano di liberazione, di rivolta» dice la cineasta, interessata a sondare, fin dal suo esordio, i movimenti interiori di ragazze e donne, soffermandosi spesso sugli effetti fisici e psicologici di un trauma. Lo fa per esempio, nel suo ultimo Riabbracciare Parigi (2022), con il corpo e la mente di Mia (Virginie Efira), sopravvissuta a un attentato terroristico in un ristorante di Parigi (Winocour si basa sull’esperienza personale del fratello Jérémie, scampato all’attacco al Bataclan del 13 novembre 2015) che deve ricostruire la tragedia riempiendo i buchi di memoria - ma il racconto di un trauma era al centro anche di Disorder - La guardia del corpo (2015), storia di un soldato tornato dall’Afghanistan con disturbo da stress post-traumatico.

Diane Kruger, Matthias Schoenaerts
Disorder - La guardia del corpo (2015) Diane Kruger, Matthias Schoenaerts

Se in Augustine raccontava il coming of age di una diciannovenne che sfugge a un mondo maschile e patriarcale (come, tra l’altro, in Mustang di Deniz Gamze Ergüven, da lei sceneggiato), in Proxima passa al microscopio il difficile equilibrio tra professione e maternità di un’astronauta (Eva Green) in procinto di partire per lo spazio, preoccupata di lasciare la figlia sulla Terra. Nei suoi film, dunque, Alice Winocour osserva con attenzione le molte sfaccettature del femminile, quasi fosse «un entomologo che guarda alle farfalle colte nella luce», a partire dalla moglie di Kitchen e dalla sua presa di consapevolezza, dalla sua fuga, dalla sua piccola grande rivoluzione.

Eva Green, Zelie Boulant
Proxima (2019) Eva Green, Zelie Boulant

Autore

Giulia Bona

Giulia Bona è nata a Voghera e ha studiato a Milano, dove si è laureata in Lettere moderne e Studi cinematografici con una tesi su Agnès Varda e il riciclaggio creativo. Riempiva quaderni di storie e pensieri, dava inchiostro alla sua penna sul giornalino della scuola, ora scrive per Film Tv. Ama leggere, i sentieri di montagna, la focaccia e sorride quando vede un cane.