Questa rubrica ha un’insegna: “Il pilota VPN è l’appuntamento dedicato agli episodi pilota di serie tv ancora inedite o non acquistate da alcun distributore italiano; serie di cui almeno l’episodio pilota promette bene, a dispetto della loro disponibilità solo per il mercato estero”. Dice che parliamo di serie tv ancora inedite, mica di serie tv ancora inedite uscite di recente. Dunque approfittiamo della seconda settimana filata di latitanza estiva da parte della distribuzione anglofona – basta che il riscaldamento globale alzi la temperatura di qualche tacca e anche il più subdolo figlio di Albione si trasforma in un milanese che ad agosto si rifiuta di rimanere in città – per cominciare a pescare gli inediti più meritevoli fra le serie storicamente snobbate dal mercato italiano. E fidatevi che di cose magnifiche ne abbiamo lasciate un bel po’ per strada.
Un uomo in tuta da astronauta e spazzolone pulisce la cubitale F di RED DWARF dipinta sulla fiancata dell’eponima astronave. L’inquadratura si allarga a mostrare la navicella in tutta la sua magnificenza di effetto pratico (un modellino in scala filmato su uno sfondo adeguato) che, esteticamente, regge in maniera egregia anche nel 2024. The End.
Che poi sarebbe il titolo – di un umorismo violentemente british – dell’episodio pilota di una delle serie più amate dagli inglesi negli ultimi 40 anni (ha debuttato nel 1988), ma soprattutto una delle sitcom più rivoluzionarie del secolo scorso. Forse non volevamo dare tutta questa soddisfazione agli amici d’oltremanica quando abbiamo scelto di non distribuirla in Italia; fatto sta che, nella migliore tradizione di un genere di barzelletta che forse farebbe sogghignare anche un suddito di sua maestà, alla fine a prendersela in quel posto siamo stati noi che pensavamo di essere furbi. Sigla!
Può suonare esasperante, lo capisco. Ma se ci pensate bene esiste anche, persa da qualche parte nei meandri della storia, la prima persona che ha pensato che bere succo di mucca potesse essere una buona idea. A noi sembra banale, ma all’epoca è stato rivoluzionario. Fatto sta che Red Dwarf, subito dopo aver ostentato la propria credibilità fantascientifica con il modellino di cui sopra, esce dai blocchi di partenza mettendo in scena una coppia di archetipi che, quando si parla di un duo comico, fanno parte del linguaggio sin dall’alba dei tempi: lo straight man e il funny man – lo tsukkomi e il boke del manzai giapponese, per dire di quanto il concetto trascenda le diverse culture – ovvero il personaggio serio, ragionevole e rigido (Ollio, Gianni, Franco, Don Camillo, Bud Spencer) e quello spensierato, esagitato e fesso (Stanlio, Pinotto, Ciccio, Peppone, Terence Hill).
Sembra sciocco dire che Red Dwarf è rivoluzionaria (ed esilarante) già solo per questo, quasi banale, ma ricordatevi sempre del latte. All’epoca nessuno aveva mai tentato un’operazione del genere con tutti i crismi del caso – ovvero con un’anima fantascientifica solida abbastanza da poter sorreggere e magnificare l’anima comica.
Il funny man è il manutentore non qualificato Dave Lister, ultima ruota del carro nell’equipaggio della nave mineraria Red Dwarf; un ragazzotto annoiato, sciatto, indisciplinato, tonto, di buon cuore, dal forte accento di Liverpool – che a quanto pare resisterà anche nel 23° secolo, continuando ad affascinarci mentre ci fa sanguinare le orecchie – e con una soglia dell’attenzione non particolarmente sviluppata a causa di risorse cognitive allocate più che altro nel reparto dell’estro.
Lo straight man è il manutentore di livello appena superiore Arnold Judas Rimmer, tanto inconsapevolmente stupido quanto il compagno di stanza Lister ma in maniera del tutto speculare: rigido, ottuso, incapace di vedere – figurarsi accettare – i propri innumerevoli (innumerevoli) limiti.
Succede poi che Lister faccia la scelta saggia di portare a bordo una gatta incinta, Frankenstein, per poi farsi beccare nella maniera più beota possibile – che anticipa di quasi vent’anni i social network – e infine venire punito con 18 mesi di stasi criogenica. Solo che i 18 mesi diventano 3 milioni di anni a causa di una brutta faccenda di radiazioni successa fuori scena a causa dell’insipienza dei due protagonisti, che ha contaminato la Red Dwarf e ucciso l’intero equipaggio; tranne l’intelligenza artificiale Holly, che in tre milioni di anni di solitudine ha preso l’abitudine di dire tutto quello che le passa per la testa.
Quando il contatore Geiger smette di segnare sul teschio, l’IA fa l’errore di scongelare l’esasperante (lui per davvero), adorabile Dave. Il quale sarebbe, a rigor di logica, l’unico membro dell’equipaggio sopravvissuto; non fosse che Arnold Judas Rimmer è ancora tecnicamente vivo, pur in forma di ologramma. C’è anche un quarto incomodo, Cat, ovvero la risposta alla domanda: cosa succede a un gatto dopo tre milioni di anni di evoluzione? Diventa Sammy Davis Jr. ateo redento e senza baffi, ma con il codino degno del principe di Zamunda.
Non c’è niente da fare. Red Dwarf è scritta e realizzata (seppur a budget ridotto) con una cura e un’intuizione che il sistema produttivo televisivo da tempo non permette più, specialmente nella catena di montaggio delle sitcom – a meno (e solo in parte) di non chiamarsi Chuck Lorre. È fresca anche dopo 36 anni, ha il ritmo serrato, pressante e sincopato delle migliori colleghe inglesi, da Blackadder e Yes Minister (altri due inediti da recuperare) a Fawlty Towers e The Office. Non giustifica gli inglesi dall’aver rotto le balle per secoli a mezzo mondo solo perché non sanno cucinare, ma è uno sforzo certamente apprezzabile.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta