Someday You’ll Die è uno spettacolo di comicità a un livello di nero inversamente proporzionale all’abbacinante sbrilluccichio dello splendido abito da sera (con un coordinato di orecchini notevole) che Nikki Glaser ha scelto per salire sul palco del suo quarto speciale di stand-up – il secondo di fila edito da HBO, mentre su Netflix trovate il precedente Bangin’. Nel giro dei primi dieci minuti di monologo, Glaser costruisce un’impalcatura comica talmente solida da riuscire a reggere il paragone tra il parto di una giraffa – violentata da un giraffo perché lei indossava quel provocante outfit animalier – e quello di un’adolescente nel bagno di un fast food. Sono dieci minuti esemplari e da manuale dello stand-up, che affrontano argomenti tabù e negletti per imbarazzo e bigottismo (rifiuto della maternità, aborto, imposizioni sociali, eutanasia, suicidio, stupro) con perfetta densità comica e con scientifica economia umoristica. Le battute non sono mai costruite con una parola di troppo; così come i connettivi che tengono unito il bit nel suo insieme, i quali non pesano sul ritmo complessivo e sullo scorrere incessante del flusso comico.
Nikki Glaser ha da poco compiuto quarant’anni ed è, a suo stesso dire, una donna di Hollywood dalla bellezza canonica la cui pelle dovrà lottare per sempre – e con l’aiuto del doping estetico – contro i devastanti effetti della gravità. D’altronde, la sessualizzazione casta dei corpi è l’unica cosa che continua a vendere, e una faccia e una vagina cascanti hanno poco mercato da quelle parti. Senza contare che Glaser, oltre a essere attrice (Un disastro di ragazza, Come ti divento bella), podcaster, speaker radiofonica e conduttrice tv, per la maggior parte del suo tempo è comica, dunque passa le giornate a elucubrare sulle cose peggiori e su come trasformare in battuta la consapevolezza che il mondo potrebbe finire nel giro di un paio di generazioni.
Un po’ si possono intuire i motivi razionali e pratici per cui si rifiuta di avere figli. Ma Glaser ci tiene a spiegarsi nel dettaglio e dedica quasi un intero speciale all’argomento. Il suo è un rifiuto talmente forte che le è capitato di sperimentare la depressione post-partum per procura: ovvero quando perde le amiche perché hanno deciso di avere un figlio. Glaser affronta sempre quei momenti, in cui si sente piuttosto giù, offrendo alla futura mamma 40mila dollari per abortire a fronte dei 30mila che quest’ultima ha speso per la fecondazione in vitro. Se vuoi farne una questione di danaro, non è un problema: io non ho figli e i soldi mi avanzano.
Nikki Glaser i figli non li ha mai voluti. Persino da piccola, quando le regalavano delle bambole, pensava che avrebbero richiesto troppa cura e le avrebbero rubato tempo per le pennichelle. D’altronde, più o meno ovunque, le bambine subiscono una sorta di programmazione di genere che le inserisce in una narrazione forzata dalla biologia: crescerai, farai figli, ti piacerà. A Glaser questa storia non è mai andata giù. Da piccola le hanno comprato una finta cucina per prepararla al futuro da massaia, e lei invece di spignattare ha deciso di esplorare il metodo Sylvia Plath.
E poi ha di fronte l’esempio delle coetanee che vogliono a tutti i costi diventare mamma e alle quali Dio in persona sembra dire: ci stai provando troppo forte zia, sei troppo triste e disperata, scordatelo. E allora il miglior contraccettivo per le donne verso i quaranta che non vogliono rimanere incinte risultano essere proprio gli appelli diretti a Dio – che è notoriamente un onnipotente assai stronzetto quando si tratta di esaudire richieste dirette – pregando di avere a tutti i costi un figlio.
Che poi anche egli, l’altissimo, ha le sue ipocrisie, sia chiaro: una donna aspetta di essere mentalmente ed economicamente pronta per poter crescere un figlio nella maniera migliore possibile, e Dio le dice senza mezzi termini che è troppo vecchia. Invece a sedici anni una ragazza viene stuprato da uno zio, e Dio le dice “eccoti i gemelli”. Poi succede anche che i figli delle quarantenni nascano e vengano battezzati con un nome assurdo tipo Finleigh. E Finleigh non ci pensa nemmeno a mangiare quel pezzo di carne che è stato toccato dalla verdura che c’è nel piatto. Ma vedrete che se la caverà benissimo a mangiare fagioli in scatola nei bunker durante le guerre per l’acqua che sanciranno la definitiva estinzione del genere umano.
A questo punto è abbastanza chiaro che Nikki Glaser è una schiacciasassi che non si ferma di fronte a nulla pur di consegnare una battuta memorabile. Non solo parla del corpo della donna – e soprattutto delle esperienze per lo più traumatiche a cui viene sottoposto il corpo della donna – con un libertà e una spensieratezza omicida che impedisce di far finta di niente; ma è anche in grado di lasciare per strada molte perle (“Essere una pessima mamma è facile tanto quanto essere un bravo papà”) e di concludere in un climax di cinismo sorridente, che non ha nulla del nichilismo distruttivo tutto europeo e che si potrebbe riassumere così: la vita è un’orgia di cazzi puntati verso di te, pronti a fotterti nelle maniere più impensabili; ma c’è una buona notizia: un giorno morirai e sarà tutto finito.
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